E’ quasi mezzogiorno quando arriviamo a Bruxelles. Il viaggio è stato
interminabile, soprattutto per me che non riesco a dormire in pullmann. Lungo il
percorso ogni tanto abbiamo superato altre carovane di tifosi juventini, con i
quali ci siamo salutati chiassosamente, ma avvicinandoci alla città il numero di
pullmann bianconeri è aumentato in maniera esponenziale: siamo una marea e
questo, anche se si tratta solo di una illusione, ci fa ben sperare per l’esito
della partita.
Il parcheggio che ci hanno riservato è grandissimo ed è stracolmo di tifosi.
Cerco qualche faccia conosciuta, ma so che è inutile. Solo io, Gino e Fabio
siamo arrivati qui per strada; gli altri tifosi della mia cittadina stanno
arrivando in aereo, beati loro che possono. Cerchiamo le indicazioni per lo
stadio. Non ce ne sono oppure non le vediamo, seguiamo la corrente bianconera,
qualcuno là davanti saprà dov’è. Una breve pausa per una foto davanti
all’Atomium: l’ho visto mille volte sui libri di geografia e vederlo dal vero mi
fa un certo effetto.
Finalmente arriviamo nei pressi dello stadio: esternamente non ci sembra
granché, spero che sia meglio all’interno. Sui prati attorno allo stadio ci sono
tantissimi gruppetti di tifosi: c’è chi mangia, chi dorme, chi legge la Gazzetta
e avvicinandoci sentiamo i discorsi concitati di mille allenatori; ognuno ha la
sua formazione e la sua tattica di gara, ci accomuna solo la speranza che non si
ripeta la beffa di Atene.
Io, apprensivo come al solito, voglio individuare l’ingresso del nostro settore
per non essere impreparato quando apriranno i cancelli; Gino e Fabio mi prendono
in giro ma si uniscono a me nella ricerca. Ci avviciniamo al perimetro dello
stadio e cominciamo a percorrerlo. Nei pressi di quella che dovrebbe essere la
tribuna centrale ci sono delle transenne. Qui non si passa. Facciamo un giro più
ampio e arriviamo in corrispondenza di una delle curve. Sarà la nostra? Assorti
nella ricerca, non ci siamo accorti che il colore dei prati circostanti è
gradualmente mutato: da verde, bianco e nero è diventato verde e rosso. Qui ci
sono i tifosi del Liverpool. Nella illusoria speranza che la mia maglia
bianconera e quella di Fabio non risultino così evidenti (come se quella blu da
trasferta di Gino con il logo Ariston, lo scudetto e le stelle sembrasse una
normale polo…) proseguiamo nel nostro cammino. Non posso fare a meno di
sbirciare i volti dei tifosi inglesi, nel timore di una espressione di minaccia
e nella speranza di un sorriso di complicità.
Un ragazzo si stacca da un gruppetto numeroso e si avvicina. Sorride timoroso,
indica la mia maglia e mi parla. Accidenti, come è diversa la sua parlata
dall’inglese della prof.; comprendo la metà delle sue parole, ma capisco che
vuole cambiare la mia maglia con la sua. Perché no? Magari ci speravo in una
cosa del genere e forse sarà per questo che, oltre alla maglia ufficiale, mi
sono portato una maglia replica acquistata su una bancarella davanti al Comunale
prima della partita con il Bordeaux. Facciamo lo scambio. E’ bella la loro
maglia, di un rosso che comunica passione; chissà quand’è che la Juve deciderà
di adottare le maglie fatte con questo tessuto lucido. Ci diamo la mano e ci
salutiamo. Io gli dico: “Good luck”, ma non lo penso veramente, non per stasera
almeno.
Proseguiamo nella nostra ricerca, arriviamo quasi alla fine della curva prima
del settore dei distinti; qui c’è un po’ di movimento. Non capiamo o forse
capiamo ma non ci sembra possibile. Ci sono dei tifosi a cavalcioni del muro di
cinta che in questo punto mi sembra più basso che altrove e con il filo spinato
rotto; altri tifosi stanno passando loro dei contenitori, sembrano casse di
birra. Forse stanno portando dentro degli striscioni, ma qualcosa ci dice che la
prima impressione è quella giusta. Questi sembrano meno amichevoli di quelli che
abbiamo incontrato prima e allora decidiamo di non indugiare troppo e ci
affrettiamo ad allontanarci.
Passato il settore dei distinti, l’ambiente torna a tingersi del rassicurante
colore bianconero e vediamo anche un cancello con sopra un cartello che recita
“Juventus”; non ci è dato di sapere se è l’ingresso del nostro settore, ma una
valutazione della piantina dello stadio disegnata dietro al biglietto di
ingresso ci spinge a pensare che sia così. Chiedo a tutti quelli che incontro se
è questo il settore ‘N’ e puntuale arriva la presa in giro di Gino e Fabio.
Siamo arrivati e anche se è un po’ presto, decidiamo di fermarci qui. Anni di
partite al Comunale ci hanno insegnato che se non sei davanti ai cancelli quando
aprono, ti rimangono i posti peggiori.
Il pomeriggio avanza, fa caldo (perché quando compri la maglia ufficiale ti
mandano sempre quella a maniche lunghe invernale?), il numero di tifosi aumenta
e tutti si accalcano. Già da tempo abbiamo rinunciato a stare seduti e, per
giunta, nel gruppo si è infilato anche un poliziotto a cavallo ed io, con la mia
solita fortuna, sono faccia a faccia con il quadrupede. Spero che sia stato
addestrato bene. Sorrido al poliziotto, nella speranza che capisca che qui non
ci sono teppisti, ma lui non si smuove. “Vabbè, l’importante è che tu tenga
buono Furia” penso io.
Cresce l’eccitazione. La batteria dell’orologio mi ha abbandonato, ma penso che
ormai ci siamo. Ora aprono. E’ come una scossa. Cominciano i cori “Juve, Juve”
prima ancora di entrare. Siamo dentro. Ci sistemiamo in una posizione decente,
vicino ai distinti e cominciamo a studiare quello che sarà il teatro della
partita. Il prato è uno splendore. Qui il verde sembra – se possibile – più
verde, che meraviglia. Però il resto non è granché: lo stadio non ci sembra
molto grande; sicuramente è molto vecchio e comunque tenuto male. Addirittura i
gradini larghi e bassi sono in più parti sbriciolati. Penso che sia quasi meglio
il Comunale, che ho tante volte denigrato. Ricomincio a fare il solito giochetto
delle “forze” sugli spalti, come se il numero dei tifosi fosse decisivo. Guardo
verso al curva opposta alla nostra, dove ci sono i nostri “nemici”, ma non è
tutta rossa: nella parte verso le tribune ci sono degli juventini. Chissà, forse
siamo talmente in tanti che ci hanno riservato anche quel settore. Intanto lo
stadio si riempie. Per ingannare l’attesa si parla, si legge un quotidiano
faticosamente mendicato al vicino; ogni tanto qualcuno parte con un coro e
allora tiriamo su sciarpe e bandiere e cantiamo per darci coraggio e sperando di
darne ai giocatori. C’è uno dietro di me che ha uno striscione con scritto
“Mamma sono qui”. Questa mi mancava.
L’eccitazione aumenta sempre più. Non riesco più a calmarmi, se continuo di
questo passo esaurirò le unghie prima dell’inizio della partita. Un boato. Sono
entrate delle persone con la tuta della Juve sul campo. Da qui non riconosco i
volti, potrebbe essere il massaggiatore, ma potrebbe essere anche Platini.
Quanto manca? Sono quasi le sette. Manca ancora parecchio ed i minuti sembrano
espandersi nell’attesa. Mi metto tranquillo. Ma dura poco.
Un brivido percorre la curva, forse stanno entrando i giocatori a vedere il
terreno di gioco. No, sta succedendo qualcosa sulla curva opposta. Cerco di
capire. Dai due settori riservati ai tifosi del Liverpool stanno lanciando degli
oggetti verso il settore degli juventini, sembrano bottiglie, forse sassi, non
vedo bene. La parte della curva bianconera fischia, anche noi fischiamo. Ma
proprio stasera dovevano fare casino? Fra le due tifoserie compatte si è aperta
una frattura. Poi, come comandati da un unico impulso, i tifosi del Liverpool
cominciano a muoversi in direzione di quelli della Juve. “Ci saranno le reti” mi
dico, “Arriverà la polizia” spero, “Si fermeranno” prego. Si fermano. Ma è un
attimo. Come una molla gli inglesi si ritraggono e poi ripartono, ma questa
volta non si fermano, continuano ad avanzare. La massa dei tifosi bianconeri si
sposta verso le tribune, forse stanno uscendo. Da qui vedo che molti si
riversano sul campo di gioco. Forse gli addetti hanno aperto i cancelli e per
evitare problemi li fanno entrare sulla pista. Il settore è quasi vuoto. E
quelli del Liverpool si sono fermati; lentamente ritornano verso i loro settori
e cantano. Cerchiamo di capire, ma da qui è difficile.
L’altoparlante dello stadio non da comunicazioni. Speriamo che non rimandino la
partita. Sarebbe il colmo essere venuti fin qua per non vederla. Passano i
minuti. Il settore degli juventini rimane vuoto, i suoi occupanti sono tutti in
campo. Mi sembra di sentire delle sirene. Stanno arrivando i rinforzi per la
polizia, oppure sono ambulanze, forse qualcuno si è fatto male.
Intanto il tempo trascorre, adesso troppo in fretta. Ma insomma, cosa fanno,
perché non dicono nulla? L’altoparlante dello stadio comincia a emettere suoni,
ma la confusione è tanta e i messaggi arrivano frammentati. Riusciamo a capire
che i capitani delle squadre leggeranno un comunicato. Si sente una voce timida,
è Scirea ci dicono: “La partita verrà giocata per consentire alle forze
dell’ordine di organizzare l’evacuazione del terreno. State calmi. Non
rispondete alle provocazioni. Giochiamo per voi” . Poi un’altra comunicazione,
questa volta in inglese. Questi è Neal, il capitano del Liverpool. Non riusciamo
a capire. Ma la partita è valida?
Intanto il campo è sempre pieno di persone, a cui si vanno aggiungendo squadre
di poliziotti o soldati che si dispongono attorno al perimetro del terreno. Se
possibile, il trambusto aumenta quando entrano in campo alcuni calciatori della
Juve circondati da un gruppo sempre più folto di persone. Arrivano quasi sotto
la nostra curva. Nella calca mi sembra di riconoscere Cabrini, ma non ne sono
certo. E’ tardi, l’orario di inizio è trascorso. Scirea ha detto: “Giochiamo per
voi”, spero che non ci abbiano ripensato. Impercettibilmente il campo si svuota,
tutte le persone che c’erano prima sono scomparse. Forse i tifosi della Juve
scesi sul terreno di gioco sono stati smistati in altri settori dello stadio.
Abbiamo notato che molti spettatori dei distinti alla nostra destra sono andati
via. Forse si sono impauriti per il trambusto. Vediamo un varco nella rete
divisoria fra i settori e molti tifosi della curva ci passano attraverso per
spostarsi nei distinti. Lo facciamo anche noi, vogliamo vedere un po’ meglio.
Non c’è nessuno ad impedicerlo.
Sono già passate le nove, quando inizia la partita. I minuti prima lentissimi
adesso passano troppo velocemente. Le squadre giocano abbastanza bene, sembra
tutto normale. Voglio pensare che sia tutto normale. Noi facciamo qualche azione
buona, ma anche loro non scherzano. Sono forti, lo sapevamo. Tacconi si supera
in più di una occasione. Finisce il primo tempo sullo 0 – 0. Facciamo qualche
commento, ognuno ha la sua ricetta per vincere, ma non sembriamo molto convinti.
Un’ombra ci opprime. Entrano le squadre per la seconda parte della gara. Nella
Juve non è cambiato nessuno. Passano una decina di minuti, poi un lampo. Boniek
parte al galoppo. Sale l’incitamento, che diventa un boato quando i difensori
del Liverpool lo stendono nei pressi dell’area. Rigore! “Ma, c’era?” . L’arbitro
dice di si. Tira Platini. Proprio sotto la curva degli incidenti. Contrariamente
al solito, questa volta lo guardo tirare. Gol! Stiamo vincendo. “Manca molto?”.
Adesso il Liverpool non ci sta a perdere e ci comprime nella nostra metà del
campo. Il cuore sta facendo gli straordinari. Tacconi para anche lo mosche. E’
quasi finita. Una sostituzione per la Juve. Esce Briaschi, entra Prandelli; ci
copriamo, il Trap ha aspettato più del solito a farlo. Manca pochissimo.
Un’altra sostituzione. Esce Rossi ed entra Vignola. E’ finita! Abbiamo vinto.
Ci abbracciamo. Gino piange, ma non vuole farsi vedere. La curva alla nostra
sinistra, dove eravamo prima è una marea bianconera. Aspettiamo la premiazione,
vogliamo la coppa più desiderata. Il tempo passa ma non vediamo nulla. Ce la
siamo persa? Altri minuti, non si vede nessuno. Ma che fanno? Hanno cambiato il
rituale? No, ecco i giocatori che arrivano. Non ci sono tutti. C’è Platini che
corre sotto la curva. Foto. Passano Tardelli e Boniek proprio davanti a noi.
Altra foto. Questi coi baffi chi è? Favero. Altra foto. Non vedo altri
juventini. Ma dov’è la coppa?
Non c’è più nessuno in campo, esclusi poliziotti ed addetti. Lo stadio si sta
svuotando, per stasera non fanno altro. Decidiamo di uscire. Torniamo al
pullmann. Occhio alle maglie rosse. Dopo quello che è successo, non si sa mai.
Ci rimettiamo in viaggio. Appena fuori Bruxelles, ci fermiamo in un posto di
ristoro. E’ chiuso. “Ma come? Da noi sono sempre aperti o quasi.”. Proseguiamo.
Abbiamo fame. Un altro autogrill. Come non detto. Appena vede arrivare i
pullmann, qualcuno pensa bene di chiuderlo. Ci teniamo la fame, ci arrangiamo
per i bisogni fisiologici e ripartiamo. Viaggiamo tutta la notte e arriviamo al
confine svizzero alle prime luci dell’alba. Finalmente, un autogrill aperto. Ci
fermiamo e assaltiamo letteralmente il bar. Ci guardano in modo strano. Una
cameriera piange. Che succede? Io cerco l’espositore dei quotidiani. Voglio
comprare una copia della Gazzetta per conservarla come ricordo. Non la trovo. Ci
sono solo giornali in lingua tedesca. Ne compro uno. Ho una conoscenza
scolastica del tedesco, ma riconosco il vocabolo che campeggia in prima pagina
vicino ad un numero troppo alto per essere vero, ‘Toten’; e le immagini che vedo
mi scavano un solco profondo nella mente e nel cuore. Per sempre.
…
Siamo a casa nel primo pomeriggio. Un conoscente mi offre un passaggio dal
terminal degli autobus fino a casa mia. Mi dice che in paese mi davano per
disperso. Risultavo capogruppo nell’elenco dei tifosi partiti da qui. Quelli che
sono venuti alla partita in aereo sono tornati prima di noi, ed hanno raccontato
di aver sentito il mio nome chiamato più volte dallo speaker dello stadio. Mi
sembra incredibile, io non ho sentito nulla. Mi dice anche che la mia ragazza ha
telefonato al Ministero degli Esteri. Non le hanno saputo dare notizie. Arrivo a
casa. Mia madre mi abbraccia e piange. Mio padre non mi dice nulla. Mi guarda e
parte per andare al lavoro. Anni dopo mi dirà di non aver provato una paura
simile nemmeno ai tempi della guerra.
Non ho mai voluto guardare la registrazione di quella serata.
Sergio