Tutte le partite ufficiali della stagione |
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N |
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31 |
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12 |
T |
La Juventus dal 1900 ad oggi |
Gare ufficiali |
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Serie A |
4.579 |
Giocate |
3.088 |
2.508 (54,77%) |
Vittorie |
1.699 (55,02%) |
1.172 (25,60%) |
Pareggi |
836 (27,07%) |
899 (19,63%) |
Sconfitte |
553 (17,91%) |
8.194 |
Fatti |
5.378 |
4.459 |
Subiti |
2.910 |
C. Europee |
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Era 3 pti (uff.) |
512 |
Giocate |
1.557 |
281 (54,88%) |
Vittorie |
927 (59,54%) |
113 (22,07%) |
Pareggi |
369 (23,70%) |
118 (23,05%) |
Sconfitte |
261 (16,76%) |
871 |
Fatti |
2.737 |
472 |
Subiti |
1.378 |
Tutti i numeri della Juventus |
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Pubblicato il 07.06.2006
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L'Arancia meccanica
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di Bidescu
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Siamo nei primi anni del dopoguerra, il calcio olandese sta attraversando un periodo molto buio. Disertati i Mondiali del 1950 e del 1954, la Federazione arancione non fa meglio nell’edizione del 1958, dove, alla duplice vittoria sul Lussemburgo nella fase eliminatoria, segue un pareggio ed una sconfitta con l’Austria, che ne comporta l’eliminazione; stessa sorte nelle altre tre successive edizioni dei Mondiali: 1962, 1966, 1970. È abbastanza sorprendente il fatto che la Nazionale olandese subisca queste disfatte, considerato che le squadre di club stanno cominciando a trionfare in Europa. La colpa è addossata ai giocatori che, sparsi in vari paesi d’Europa, non sentono troppo lo spirito di bandiera; anni d’esilio forzato li hanno resi restii ad impegnarsi, se non di fronte ad un preciso tornaconto economico. Stessa sorte tocca all’Olanda nel campionato d’Europa. Alla prima edizione non si presenta; nella seconda, dopo la qualificazione raggiunta a spese della Svizzera, desta grande sensazione facendosi eliminare, negli ottavi di finale, dal Lussemburgo, considerata da sempre una squadra “materasso”. L’Olanda non supera i gironi di qualificazione nemmeno negli Europei del 1968 e del 1972. In quest’occasione, peraltro nell’ultima inutile partita del girone, considerato che si era già qualificata la Jugoslavia per la fase finale, l’Olanda si prende una sonante rivincita sul Lussemburgo, travolgendolo a Rotterdam per 8 a 0. Tre goals sono opera di un giovane fuoriclasse che, alla guida dell’Ajax, ha già catturato l’attenzione europea: il suo nome è Johann Cruijff. Johann Cruijff nasce ad Amsterdam il 25 aprile 1947; sembra nato dal dio del calcio. Già bambino, incanta per il suo precocissimo talento tanto e, a soli dieci anni, entra nelle formazioni giovanili dell’Ajax. È alto e sottile come un giunco: elegantissimo nella falcata e nel palleggio ma fragile. Vic Buckingham, un inglese che allena il prestigioso club dei “lancieri”, se ne prende cura personalmente. Un allenamento specifico con i pesi, ed il piccolo Johann, pur mantenendo le sue caratteristiche longilinee, diventa fisicamente fortissimo. A quattordici anni vince il suo primo titolo nella categoria “ragazzi”; a diciassette conquista il posto in prima squadra; a diciannove vince il campionato olandese e debutta in Nazionale, firmando un goal contro l’Ungheria. Grazie a Cruijff ed ad una “covata” di straordinari talenti, comincia la leggenda dell’Ajax, che vince tre Coppe dei Campioni, una Coppa Intercontinentale ed una Supercoppa. Cruijff conduce la sua squadra anche alla conquista di sette scudetti e di quattro Coppe d’Olanda. Sono gli anni d’oro del calcio olandese e di Johann Cruijff, che ne è l’indiscusso profeta; France-Football gli assegna il “Pallone d’oro”, quale migliore calciatore europeo, per tre volte, nel 1971, 1973 e 1974. Ma Cruijff è irrequieto e dispotico, non sempre va d’accordo con i compagni ed alla Nazionale si concede raramente. Nel 1973, l’anno precedente i campionati Mondiali durante i quali l’Olanda è chiamata a dimostrare la sua superiorità tecnica e tattica, abbandona l’Ajax per incassare i miliardi del Barcellona. La squadra catalana naviga nelle parti basse della classifica; con l’arrivo del fuoriclasse olandese, risale la china fino ad arrivare a vincere uno scudetto ed una Coppa di Spagna. Giocatore straordinario, difficilmente etichettabile sul piano tattico, vero interprete del calcio universale, il “Profeta del goal”, com’è stato chiamato negli anni settanta, è ricordato per il micidiale scatto da fermo, che gli permette di eludere ogni marcatura, anche la più arcigna. Non è un attaccante, ma segna tantissimo; non è un difensore, ma non perde mai un contrasto; non è un regista, ma imposta e comanda il gioco come pochi. Indossa la maglia numero quattordici, il suo simbolo. È il suo compagno dell’Ajax, Gerrie Muhren, a spiegare la strana scelta di quel numero, che è tuttora ricordato come il “numero di Cruijff”: «Di solito io indossavo la maglia numero sei e Johann la numero nove. Prima di una partita in trasferta, non riusciamo a trovare la mia maglia e Johann mi offre la sua, vestendo quella numero quattordici. La partita fu un trionfo e da quel mo-mento, io indossai sempre il numero nove mentre Johann il numero quattordici». Nel 1978 lascia anche il Barcellona, per tentare l’avventura americana: Los Angeles Aztecs, Cosmos e Washington Diplomats, una squadra diversa ogni anno, alla ricerca più di quattrini che di gloria. Nel 1981, a trentaquattro anni, tenta di approdare al Milan, dopo aver giocato con la maglia rossonera una partita del “Mundialito”. Ripiega su una squadra spagnola di seconda categoria, il Levante, che presto abbandona per tornare in Olanda, prima all’Ajax, con la quale vince due scudetti ed una Coppa d’Olanda, poi al Feyenoord, acerrimo rivale dei “lancieri”. Con il club di Rotterdam, Cruijff chiude la sua inimitabile e movimentata carriera, vincendo un altro titolo olandese nel 1984, all’età di trentasette anni, dopo aver conquistato il titolo di “miglior giocatore olandese dell’anno” nel 1983 e nel 1984. Nonostante Cruijff non possieda un patentino da allenatore, all’inizio della stagione 1985-86 diventa direttore tecnico dell’Ajax. Aveva già dato prova della sua indole da allenatore nel 1980 quando, mentre si allenava con l’Ajax in Olanda nella pausa del campionato statunitense, scese dagli spalti durante un incontro di campionato ed iniziò a dare consigli non richiesti all’allenatore dei “lancieri”, Leo Beenhakker. La squadra biancorossa stava perdendo 3 a 1 contro il Twente e, grazie ai consigli di Cruijff, finì per vincere 5 a 3. Grazie a lui, l’Ajax vince la Coppa delle Coppe nel 1987 e forma giovani talenti quali Dennis Bergkamp, Aaron Winter, Brian Roy ed i fratelli Rob e Richard Witschge, tutti futuri giocatori d’ottimo livello, nonché quello che è considerato il suo erede, Marco Van Basten. Ripetendo un viaggio che aveva fatto come giocatore, Cruijff lascia l’Ajax per il Barcellona, questa volta come allenatore e direttore tecnico. Comincia subito a ricostruire la squadra, vendendo una dozzina di giocatori, tra cui il tedesco Bernd Schüster, e spendendo 15 milioni di dollari per l’acquisto di nuovi talenti. In poco tempo crea una squadra europea d’alto livello che vince la Coppa delle Coppe, la Champions League, la Copa del Rey e quattro campionati di fila, tra il 1991 e il 1994, con un team che in Spagna fu definito “la squadra dei sogni”. L’eccezionale percorso compiuto fa di Cruijff l’indiscussa autorità tecnica all’interno del club catalano. Nel 1996, dopo una relazione durata otto anni, le strade di Johann Cruijff e del Barcellona si separano nuovamente, questa volta per motivi più gravi. Cruijff che nel 1991 dovette smettere di fumare in seguito ad un intervento subito al cuore per inserire un by-pass, è affetto da infarti ripetuti e giura di non fare mai più l’allenatore. Ma ritorniamo ai primi anni settanta. In seno alla squadra olandese, non tutto fila liscio. Gli atteggiamenti dittatoriali di Cruijff, sono sempre meno accettati dai compagni ed il capo dell’opposizione è l’ala sinistra Keizer. Il responsabile tecnico della Nazionale è il dottor Fadrhonc, persona perbene, ma di carattere debole, che non riesce ad imporsi sui giocatori. La Federazione olandese interviene d’autorità, esonerando Fadrhonc e sostituendolo con Rinus Michels. soprannominato “la Sfinge” in ragione del suo viso inespressivo; un tipico sergente di ferro che ha creato il grande Ajax ed ha poi seguito Cruijff al Barcellona. Questa mossa, in pratica, consegna le chiavi della Nazionale nelle mani di Cruijff. La prima conseguenza è il dirottamento di Piet Keizer nelle riserve e la sua sostituzione con Rensenbrink; le tensioni restano, ma la forza dei solisti è tale che l’Olanda approda al Mondiale del 1974 con il ruolo di favorita per la vittoria finale. Rinus Michels è geniale stratega che guida questo macchinario così complicato, è direttore di una delle sinfonie più brillanti del calcio moderno, è allenatore autoritario e taciturno che dirige la brillante epopea arancione del raffinato “Totaal Voetbal”, il “calcio totale”. Nato nel 1928, nonostante una modesta carriera come attaccante, Michels è il primo olandese ad essere nominato allenatore dell’Ajax il 22 gennaio 1965; prende le redini di una squadra che ha appena sfiorato la retrocessione ed, in poche stagioni, trasforma il club in una compagine di livello europeo. L’apice di questa scalata è raggiunto nel 1971, con la conquista della Coppa Campioni. Nonostante la squadra sia in procinto di vincere altre due edizioni consecutive della Coppa Campioni, Michels, uomo brillante e serio, lascia l’Olanda e si trasferisce in Spagna, al Barcellona. Per staccare il biglietto verso il Mondiale tedesco del 1974, l’Olanda deve superare un duro girone di qualificazione, comprendente anche il Belgio, suo rivale storico, che sta attraversando uno dei momenti migliori della sua storia calcistica, come aveva dimostrato con il terzo posto ai campionati Europei del 1972. Olanda e Belgio pareggiano entrambi i confronti diretti, con un doppio a 0 a 0 e battono largamente sia l’Islanda sia la Norvegia. La qualificazione è decisa dalla differenza reti e l’Olanda, con 24 goals segnati e 2 subiti, prevale in quanto il Belgio totalizza solamente 12 goals attivi contro nessuno al passivo. La Nazionale olandese brilla della stella Cruijff, ma Rinus Michels ha la possibilità di schierare altri straordinari campioni. Lo stravagante portiere Jongbloed, in pratica l’undicesimo giocatore, che abbandona la sua porta per prendere parte attiva alla manovra e che indossa uno sgargiante maglione giallo con il numero otto; i terzini esterni Suurbier e Krol, quest’ultimo destinato ad una carriera impareggiabile, per qualità e durata, vestendo anche la maglia del Napoli; il biondo difensore centrale Rijsbergen, che ha preso il posto del barbuto Hulshoff, ed Hann in mezzo alla retroguardia; i mediani Jansen e Neeskens; gli attaccanti esterni Rep e Rensenbrink, dallo spiccato senso del goal; l’interno Van Hanegem, del Feyenoord, la cui fama in patria rivaleggia con quella del divino Johann ed il cui tiro è secco e micidiale come una fucilata. Ma il grande campione che, forse più dello stesso Cruijff, incarna al meglio lo spirito di quella mitica formazione “orange” è Johann Neeskens. Egli sa interpretare al meglio quell’universalità di ruolo predicata al tempo in Olanda; vero “jolly” a tutto campo, Neeskens è giocatore completo e continuo, capace di adattarsi a giocare in qualsiasi zona del campo. Nato nel 1951, vive la sua stagione più importante proprio nel 1970 quando, oltre all’esordio in nazionale, partecipa con l’Ajax alla conquista il primo scudetto dei tre che, quel favoloso Ajax, vincerà consecutivamente. L’anno seguente iniziano anche le vittorie in Coppa Campioni ed anche in questo caso, l’Ajax, ne vincerà tre consecutivamente. Grazie alle sue caratteristiche fisiche ed alle grandi doti di incontrista, Neeskens diventa uno dei più grandi calciatori europei, ma nella stagione 1973-74, a causa della partenza di Cruijff, destinazione Barcellona) si ricicla trequartista-attaccante. In questo ruolo segnerà numerosissime reti (17 in 49 presenze in nazionale, giocando una buona parte di queste gare da difensore), esibendosi in conclusioni molto spettacolari e molto efficaci. Neeskens è la dimostrazione vivente della filosofia olandese dell’epoca: se sei un buon giocatore, non importa in che ruolo gioco, farai comunque bene. Dopo i mondiali tedeschi si riforma la coppia Neeskens-Cruijff: entrambi nel Barcellona, saranno determinanti nella conquista di una coppa di Spagna e della Coppa delle Coppe. La sua carriera termina nelle fila dei New York Cosmos, la stessa squadra in cui terminò la carriera Pelè. Con tutto questo, e malgrado il favore e l’attesa che la circondano, l’Olanda si trascina un pesante fardello: non ha mai superato un turno, nella fase finale di un campionato del Mondo. Così il debutto con lo spigoloso Uruguay è atteso con ansia. La scioglie in fretta Rep, con una doppietta. Un’impasse (0 a 0) con la Svezia, un travolgente 4 a 1 alla Bulgaria e si aprono le porte del girone di semifinale. Ma gli olandesi sono rivoluzionari anche nel sistema di gestire quanto sta al di fuori del calcio. Portano i capelli lunghi, il ritiro è aperto a tutti i giornalisti e, suscitando scandalo, mogli e calciatori alloggiano nello stesso albergo e nelle stesse camere, sconfessando gli allenatori e sconvolgendo i calciatori nostrani, abituati a ritiri in pieno stile clausura. Nel secondo turno Cruijff mette a segno i suoi primi due goals mondiali, nell’incontro Olanda-Argentina terminato con un sonoro 4 a 0, forse il miglior incontro del torneo. La partita contro la Germania Est è più controllata, con una vittoria per 2 a 0, mentre nell’ultimo incontro del secondo turno, l’Olanda gioca contro il Brasile, in quella che, in sostanza, è una semifinale. I campioni del mondo brasiliani sono spazzati via, dopo una fantastica gara; l’Olanda vince per 2 a 0 e Cruijff segna il secondo goal, che è ricordato come una delle sue migliori reti sulla scena internazionale. È il 65simo minuto, quando, con una semirovesciata volante su cross di Krol, Johann prende in controtempo il portiere Leao e manda il pallone nell’angolino alla sua destra. Il mondo calcistico è stupefatto ed ammirato dalla squadra olandese; a detta di tutti, non c’è una squadra in grado di fermare la “Arancia meccanica”, come è chiamata l’Olanda per il colore delle maglie e l’automatismo degli schemi tattici. Il problema è che lo credono anche gli olandesi ed affrontano la finale contro i tedeschi, padroni di casa, come se avessero già vinto il Mondiale. Cruijff da il calcio d’inizio della finale e l’Olanda comincia a far girare la palla. Dopo quindici passaggi tra i “tulipani”, la palla torna a Cruijff, che effettua un’incursione in area, saltando Vogts, ed è atterrato da Höeness. Neeskens segna il calcio di rigore e la Germania si trova in svantaggio senza aver toccato il pallone !!! La reazione dei tedeschi coglie gli olandesi del tutto impreparati. Cruijff, asfissiato dalla ruvida marcatura di Vogts, che non gli concede un metro, s’innervosisce ed, in pratica, esce dalla partita. In più il gioco degli olandesi non prevede un’amministrazione del vantaggio. Breitner su rigore e Gerd Müller, ribaltano il risultato. Cruijff è nervosissimo, continua a protestare, costringendo l’arbitro ad ammonirlo alla fine del primo tempo. I più scaltri tedeschi sfruttano gli spazi, rovesciano la situazione e nel secondo tempo impediscono letteralmente all’Olanda di giocare, vincendo la partita e la Coppa del Mondo. Per ammissione unanime, l’Olanda è stata la più forte, la più completa e la più spettacolare squadra di quel Campionato Mondiale, ma non ha vinto il titolo. La delusione, fra i “tulipani”, è enorme ed accentua i dissidi che le vittorie stavano nascondendo. In pratica, già nella sera della finale di Monaco si rompe il giocattolo che Rinus Michels aveva pazientemente assemblato. La palma di “Miglior giocatore del Mondiale” vinta da Cruijff è una magra consolazione e non serve a placare gli animi. Ai successivi Europei del 1976, in Jugoslavia, l’Olanda si qualifica per la fase finale, insieme con la Germania, la Cecoslovacchia e la Nazionale padrona di casa. Nel girone eliminatorio gli “arancioni” trovano un’ostinata resistenza nella Polonia, superata soltanto grazie alla differenza-reti. Quattro goals complessivi di Cruijff, di cui due alla sperimentale Nazionale Italiana guidata da Bernardini, fanno sperare nel pieno recupero dell’uomo-guida. Ma, in Jugoslavia, Cruijff va malvolentieri, dopo aver contrattato il suo gettone personale di presenza. Perduta la prima partita, nei tempi supplementari, di fronte alla Cecoslovacchia, Johann fa le valigie e se ne torna in Spagna, seguito dal fido Neeskens, ritenendo inadeguato il compenso di 25.000 fiorini che la Federazione olandese gli aveva garantito per la sua partecipazione al torneo continentale. È il definitivo addio del fuoriclasse olandese alla Nazionale, cui non ha saputo regalare l’alloro sperato e la fine di una delle squadre più forti di tutti i tempi, la “Arancia Meccanica”.
http://ilpalloneracconta.blogspot.com/
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