Tutte le partite ufficiali della stagione |
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T |
La Juventus dal 1900 ad oggi |
Gare ufficiali |
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Serie A |
4.579 |
Giocate |
3.088 |
2.508 (54,77%) |
Vittorie |
1.699 (55,02%) |
1.172 (25,60%) |
Pareggi |
836 (27,07%) |
899 (19,63%) |
Sconfitte |
553 (17,91%) |
8.194 |
Fatti |
5.378 |
4.459 |
Subiti |
2.910 |
C. Europee |
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Era 3 pti (uff.) |
512 |
Giocate |
1.557 |
281 (54,88%) |
Vittorie |
927 (59,54%) |
113 (22,07%) |
Pareggi |
369 (23,70%) |
118 (23,05%) |
Sconfitte |
261 (16,76%) |
871 |
Fatti |
2.737 |
472 |
Subiti |
1.378 |
Tutti i numeri della Juventus |
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Pubblicato il 20.05.2008
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Il Cile
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di Bidescu
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Una sigaretta brilla pallidamente nel buio ed immediatamente si accende la luce nella stanza numero tre, al primo ed ultimo piano della scuola aeronautica militare “Capitano Alvares”, alla periferia di Santiago in Cile, dove i calciatori italiani stanno disputando il Mondiale del 1962. Il fumatore è Omar Sivori e Cesare Maldini, dal letto, spalancando gli occhi, gli urla: «Cosa fai in giro a questa ora, sei matto ???». «Macchè, possiamo stare in piedi anche tutta la notte, tanto domani non giochiamo» sbuffa inviperito Omar. «Come ???» stupito Altafini, balza giù dalla branda. «Venite a sentire» ridacchia di rabbia Sivori, «ma fate piano, il pavimento di legno cigola !!!» Il corridoio termina con una stretta rampa di scale, che scende nel salone a pianterreno. Maldini, Altafini e Sivori lo percorrono in punta di piedi ed arrivano in cima alla scala, trattenendo il respiro, per poter ascoltare meglio. Dal piano di sotto arrivano le voci di Paolo Mazza, presidente della Spal ed improvvisato commissario tecnico della nazionale e di Giovanni Ferrari, campione mondiale grande e mite, allenatore federale in pianta stabile, con molti doveri e pochissimi poteri. Si distinguono anche le voci di due giornalisti molto autorevoli, forse troppo influenti, visto che all’una e mezza di notte sono ammessi al proibitissimo ritiro azzurro e discutono, con i tecnici, la formazione da mettere in campo la sera successiva, nella partita decisiva del girone degli ottavi, contro i padroni di casa del Cile. Comincia in questo modo una delle più grottesche e, per molti versi, misteriose avventure della storia dell’Italia calcistica. Una storia che era iniziata con la decisione di costituire un Settore Squadre Nazionali, presieduto dal vice-presidente milanista Mino Spadacini alle cui dipendenze, il presidente federale Giuseppe Pasquale, aveva messo una commissione tecnica formata dal suo concittadino ferrarese ed amico Mazza, da Ferrari e da Helenio Herrera in modo da bilanciare, con un grosso calibro interista, la presenza del dirigente rossonero. L’intenzione era di organizzare la spedizione cilena in grande stile, senza badare a spese e tanto meno ai ruoli, con un pizzico di megalomania e molta confusione, com’era solito fare a quei tempi. Herrera si mostra subito insofferente ad una così vasta partecipazione tecnica ed ottiene la garanzia che la commissione non è altro che una formalità, escogitata solo per il periodo di preparazione in Italia. Il progetto, gli spiegano, «è come un missile interplanetario: presto si staccherà il primo stadio Ferrari, poi il secondo stadio Mazza ed alla fine soltanto lei, signor Herrera, atterrerà come terzo ed ultimo stadio sulla panchina azzurra a Santiago». Ma i piani saltano, perchè proprio quell'anno è istituito l’antidoping e, a febbraio, tre giocatori interisti sono trovati positivi; sbattuti sulla copertina di un settimanale, con gli occhi sgranati da gufo, costringono Herrera, che è l’allenatore della squadra nerazzurra, a dimettersi dalla commissione ed offrirsi alla nazionale spagnola. La squadra italiana, quindi, rimane agli ordini di Mazza e Ferrari: il ritiro pre-mondiale è organizzato a San Pellegrino, dove i giocatori godono di un’assoluta libertà notturna, perché Ferrari tutte le sere rientra a Milano e Mazza abita a Ferrara. In più, il giovane medico della Nazionale, protetto dal ministro democristiano Folchi, non nega a nessuno qualche giorno di permesso. Le partite d’allenamento sono una proforma, non è importante il valore degli avversari, ma la lontananza del pubblico ingannato ed evitato con i più vergognosi stratagemmi. I due allenatori hanno praticamente allestito due squadre, avendo a disposizione giocatori importanti, compresi gli “oriundi” Sivori, Altafini, Sormani e Maschio, L’idea di Mazza è quella di portare in Cile due nazionali: “Italia uno” ed “Italia due”, inventando, così, il “tourn-over”, con tanti anni d’anticipo. I giocatori, però, soffrono di questi continui e, spesso contraddittori, confronti che creano insopportabili tensioni nella squadra e tormentosi dubbi nei tecnici. La confusione aumenta con le amichevoli. Altafini salva con una doppietta la squadra “Uno” da un’imbarazzante sconfitta a Firenze contro la Francia, sotto gli impietosi fischi del pubblico fiorentino, che grida “bidoni, bidoni” mentre, il giorno dopo, la squadra “Due” vince disinvoltamente contro gli ungheresi a Bari, schierando l’ala tattica Bulgarelli. Quello dell’ala destra, è il problema più spinoso della nostra Nazione; i “difensivisti” sostengono che sia più conveniente mettere un centrocampista, mentre gli “offensivisti” reclamano un’ala di punta. In questo clima di tensione, il 13 maggio a Bruxelles contro il Belgio, nell’ultimo collaudo azzurro, più che l’esordio di Rivera tiene banco questa discussione tattica; Sivori giunge a Bruxelles in treno da solo, perché terrorizzato dall’aereo, con la promessa, poi mantenuta, che, se l’Italia avesse vinto, gli sarebbe stato concesso lo stesso mezzo anche al ritorno. I dirigenti ed i tecnici azzurri sono propensi a schierare la punta Mora all’ala destra per ingannare il C.T. tedesco Herberger, presente alla partita, per poi sorprenderlo schierando il mediano Ferrini all’ala destra per l’esordio al Mondiale contro la stessa Germania. La critica “difensivista” insorge violentemente e Gianni Brera, incontrando Mino Spadacini nella hall dell’albergo di Bruxelles, lo minaccia pesantemente. «Tenete pronti gli ombrelli. Se schierate Mora e perdete questa partita, vi rovescerò addosso una valanga d’insulti». Naturalmente gioca Ferrini e l’Italia vince 3 a 1. Purtroppo, s’infortuna Trapattoni ed il fatto avrà un peso notevole sulla sorte della spedizione cilena. La diatriba Ferrini-Mora, si risolve in modo misterioso e poco conosciuto, qualche settimana più tardi a Santiago. Poche ore prima d’affrontare la Germania nella partita d’esordio, i tecnici azzurri pensano di ingannare Sepp Herberger con una mossa molto astuta: quella di mettere in campo Mora, invece del Ferrini di Bruxelles. Ma è impossibile realizzare tutto questo, che la dice lunga sulla fermezza delle convinzioni tattiche dei nostri tecnici, semplicemente perché l’attaccante juventino scompare. Al momento di partire per lo stadio lo cercano dappertutto nel ritiro della caserma “Capitano Alvarez”, ma nessuno è in grado di rintracciarlo. Contro la squadra tedesca è, quindi, schierata la seguente formazione: Buffon; Losi, Robotti; Salvadore, Maldini, Radice; Ferrini, Rivera, Altafini, Sivori, Menichelli. «Certo» riconosce Cesare Maldini, testimone e protagonista di quelle vicende «in teoria s’era previsto e predisposto tutto, ma poi s’improvvisava alla giornata. Quella sera, quando Omar venne a svegliare me ed Altafini, eravamo sicuri di giocare contro il Cile. Avevamo fatto un’ottima gara contro la Germania, anche se non eravamo riusciti a vincere. E poi c’era stato nel pomeriggio un episodio molto indicativo. I cileni avevano inaugurato un campo militare di tiro ad un’ottantina di chilometri di distanza ed i nostri dirigenti avevano mandato una rappresentanza di dodici giocatori, tutti quelli che non avevano giocato contro la Germania. Insomma, quelle che potevano essere considerate le riserve. Chiaro che avevano voluto risparmiare a noi titolari quei centosessanta chilometri di pullman. Tanto più che c’era un solo giorno d’intervallo fra la prima partita con la Germania e la seconda col Cile. Anche per questo eravamo tutti sicuri di giocare». Contro i tedeschi, Maldini, era stato fra i migliori in campo. Herberger aveva detto: «Maldini è il miglior numero cinque del mondo». Il C.T. cileno, Fernando Riera, aveva aggiunto: «All’Italia invidio Maldini e Rivera». Ma Mazza è intenzionato a schierare contro il Cile una formazione quasi completamente diversa da quell’impiegata contro i tedeschi; per la mania di sorprendere gli avversari, ma anche per puntare sull’abbondanza di buoni calciatori, sull’equivalenza tecnica fra titolari e rincalzi. Lo staff azzurro, infatti, è spaventato dalla vicinanza delle due gare; strana preoccupazione, perché Cecoslovacchia, Inghilterra e Jugoslava avrebbero potuto contare su un solo giorno di riposo ed avrebbero cambiato uno od al massimo due giocatori, senza risentirne affatto; nessuna delle tre squadre, infatti, perderà la seconda partita. Ma nella maxi organizzazione italiana non c’è grande cultura atletica ed il medico sembra lontano anni luce dalle specifiche complicazioni della fisiologia sportiva. La cosa più curiosa è che sia necessario cambiare anche il portiere, certo non sospettabile d’affaticamento atletico; oltre a tutto, per una partita che si tesa e nervosa è certamente più indicato l’esperto Buffon piuttosto che il giovane Mattrel. Ma i dirigenti italiani, tormentati dai dubbi e stressati da una crescente pressione ambientale, non sono in grado di gestire la situazione. Lo stesso Maldini conferma che dirigenti e tecnici erano molto confusi. «La partita è il 2 giugno. La mattina festeggiamo la Repubblica ed all’alzabandiera s’incrociano sguardi perplessi, increduli, interrogativi. Cosa succede ??? Abbiamo detto qualcosa della seduta notturna ad alcuni compagni, ma spiamo ogni indizio per capirne di più. Andiamo perfino a vedere i borsoni con gli indumenti di gioco e ci sembra tutto normale». Il più frastornato di tutti è Sivori che, incontrando Spadacini, si sente dire: «In gamba, eh, mi raccomando stasera, la partita è dura». Il dirigente non aveva partecipato alla famosa seduta notturna e quindi era molto meno aggiornato dell’argentino, che aveva appreso, origliando la discussione dallo staff tecnico con i giornalisti, la notizia della propria esclusione. «Non capivamo niente, in quella confusione» spiega Maldini. «La conferma della mia sorte l’ho avuta soltanto al momento del briefing tattico. Entriamo nell’aula, sbircio i numeri sulla lavagna e vedo che nella mia posizione non c’è il numero 5, ma il 17 che è quello di Janich. Loro ci spiegano che ritengono la squadra inflessione, che in questa circostanza le riserve valgono i titolari e dunque è meglio ruotare; perciò hanno cambiato sette uomini su undici. Spiegazioni illogiche, inaccettabili. Ma nessuno di noi fiata. Solo Altafini ma Josè è pazzo, ed inventa un numero dei suoi». Entrando nella sala della colazione, Altafini incontra Mazza e gli dice. «Ma come, vado fuori proprio adesso che sono in forma come mai, ora che mi sento un leone ???». E nel dirlo, comincia a fare tre passettini di sprint, a mimare un dribbling, a saltare come per colpire di testa un pallone immaginario. É una burla polemica, un’ironica protesta per l’esclusione, in puro stile “altafinesco”: allegro, sbruffone, travolgente. Mazza non capisce e, prendendo sul serio l’esibizione, si reca da Ferrari e gli dice di cancellare Sormani dalla formazione e di mettere Altafini. Così i cambiamenti scendono a sei: Mattrel per Buffon, David per Losi, Tumburus per Radice, Janich per Maldini, Mora per Rivera, Maschio per Sivori. Sormani, che sta già mangiando il pasto dietetico preparato appositamente per i calciatori che devono giocare la partita, è avvertito dell’immediato ritorno fra le riserve e, senza fare una piega, si consola ordinando al cuoco: «Due uova al tegamino !!!». La formazione sarà, dunque, la seguente: Mattrel; David, Robotti; Tumburus, Janich, Salvadore; Mora, Maschio, Altafini, Ferrini, Menichelli. L’obiettivo principale è far fuori Sivori e Rivera, ritenuti molto leziosi e poco combattivi; una parte della critica sostiene, infatti, che nella battaglia contro i cileni occorrono dei gladiatori e non delle “signorine”, dunque il granitico Janich anziché l’elegante Maldini ed, in mediana, un secondo stopper (Tumburus) in luogo del laterale Radice. Mazza ritiene che Maschio sia più affidabile di Sivori, fantasista troppo personale e per di più colpevole di avere sbagliato una favolosa palla-goal contro la Germania. All’ala destra può essere schierato Mora, a patto che Rivera ceda il posto al tosto Ferrini. Queste sono le teorie che Gianni Brera, pubblicata sul “Giorno” e sul “Guerin Sportivo” e Rizieri Grandi sul “Messaggero”, in antagonismo con Gino Palumbo, firma del “Corriere della Sera”, e con Antonio Ghirelli, firma prima di “Paese Sera” ed, in seguito, del “Corriere dello Sport”. Gianni Brera e Rizieri Grandi, sono gli indiziati della misteriosa discussione notturna nel ritiro azzurro: «le voci erano le loro» dice Maldini. Ma né lui, né Altafini e Sivori, acquattati in cima alla scala, furono in grado di vedere gli interlocutori. Erano venuti per informarsi o per congiurare, per avere anticipazioni confidenziali dai tecnici o per suggerire le scelte ??? Ancora oggi sembra difficilmente sostenibile l’accusa, lanciata qualche tempo dopo da Sivori, sostenuta poi da molti ed adombrata anche da Maldini, secondo la quale i due giornalisti si sarebbero recati dai tecnici azzurri per forzarli a cambiare formazione con largo impiego di gladiatori, o presunti tali. Mazza aveva confidenzialmente parlato, almeno dieci giorni prima, del progetto di una formazione-bis contro il Cile e l’indiscrezione era stata anticipata proprio dal “Corriere della Sera”. La cosa più probabile è che i due inviati fossero andati solo a raccogliere la conferma della formazione, facendo passare il sonno a Sivori ed ai suoi compagni. Ma altre vicende stavano condizionando in modo negativo quell’infelice viaggio del calcio azzurro dagli Appennini alle Ande. In quelle poche settimane del 1962, capitò di tutto, fu una concentrazione di guai, disgrazie, sciagure e contrattempi. Il “DC 8” che porta a Santiago la nazionale italiana (in prima classe) e quell’ungherese (ovviamente in turistica) subisce un’avaria al timone e deve sostare per una notte a Buenos Aires: il ritardo di dodici ore fa perdere la festa organizzata da cinquemila tifosi per l’arrivo degli italiani a Santiago. A Voghera si contano sessantadue morti e centinaia di feriti per un disastro ferroviario. Centotrenta morti all’aeroporto parigino di “Orly”, per lo scoppio di un “Boeing 707” al decollo. Incidenti in varie parti del mondo per l’impiccagione, in Israele, del criminale nazista Eichmann. L’astronauta americano Carpenter sviene al terzo giro della missione orbitale, si teme per la sua vita, ansia per le tre ore di ritardo nell’ammaraggio della capsula. Terremoto ad Arica, città nel nord del Cile, dove ha sede un girone del mondiale: danni non gravi ma popolazione, calciatori, arbitri e giornalisti terrorizzati. Intanto, il presidente del C.O.L. del mondiale, il cileno oriundo tedesco Dittborn, muore per infarto ad un mese dall’inizio del torneo. Ed il giorno di Italia-Cile, il 2 giugno, per infarto muore anche il capo ufficio stampa della presidenza della repubblica cilena, Cortez, colui che pochi giorni prima firmò un duro comunicato contro alcuni articoli di costume pubblicati da alcuni giornali italiani. Gli articoli che aprirono un altro infausto capitolo della spedizione e che la condizionarono pesantemente. Racconta ancora Maldini: «Quella volta abbiamo battuto il record della stupidaggine. Avevamo non solo un fior di nazionale, ma anche il pubblico locale dalla parte nostra. Ripenso all’accoglienza calorosa che i cileni ci avevano riservato. Quando siamo sbarcati a Santiago, erano tutti per noi. Belli, bravi, autografi, applausi». Il giocatore ha pienamente ragione: l’operazione simpatia e le pubbliche relazioni sembrano le cose meglio organizzate. Il segretario del Settore Squadre Nazionali, Luigi Scarambone, è un giornalista di lunga esperienza e di dichiarate simpatie fasciste ed è, dunque, in pieno accordo con l’apparato del regime para militare che tiranneggia in Cile. Viene apprezzata la scelta, come ritiro, della palazzina allievi di una caserma dell’aeronautica: siamo ospiti, paganti, del capo dell’aviazione cilena, generale Jensen, e del colonnello Garcia Sanchez, comandante della base. I giornali ci trattano con i guanti bianchi: siamo pronosticati tra i favoriti con Brasile ed Unione Sovietica, i giornali locali prevedono che Rivera sarà la rivelazione del torneo, Sivori è la star più popolare dopo Pelé. Nei night di Santiago spopolano non soltanto Louis Armstrong, ma anche Giacomo Rondinella e Peppino di Capri. Il più noto ristorante italiano, il “Due Torri”, nel centro della capitale fa il pieno tutte le sere. La parte cattiva è costituita dalla stampa inglese: «Italia in Cile con la vecchia Argentina», alludendo all’impiego degli oriundi in maglia azzurra. È Sepp Herberger a sibilare: «Doping ??? Non me ne intendo, parlatene con gli italiani», alludendo alla clamorosa vicenda che ha travolto la fulminea carriera azzurra del “Mago” Herrera e dimenticando il precedente riguardante la Germania campione mondiale, nel 1954 a Berna. Nonostante la colonia tedesca sia la più numerosa dopo quella spagnola e che sia il capitale tedesco a controllare le maggiori radio commerciali del paese, nella comitiva italiana si coltiva il sogno di una pacifica “intesa latina” fra italiani e cileni per superare il girone degli ottavi a spese delle teutoniche Germania e Svizzera. Ma la situazione precipita a causa di un articolo pubblicato dall’inviato de “La Nazione” di Firenze, Corrado Pizzinelli, nel quale si descrive il contrasto fra lo sforzo economico per ospitare il mondiale e le disastrate condizioni di un paese dove l’inflazione è altissima e vaste zone sono afflitte dall’analfabetismo, dalla disoccupazione e dalla prostituzione. Un pittore cileno residente a Firenze, ed amico del calciatore fiorentino Miguel Montuori, ritaglia e spedisce l’articolo alla sua ambasciata a Roma, che nel giro di poche ore lo trasmette al ministero degli esteri di Santiago. Si sfiora l’incidente diplomatico, che può essere ancora evitato, se non fosse che, lunedì 21 maggio, a dieci giorni dal debutto azzurro, il “Corriere della Sera” pubblica un’analoga corrispondenza dell’inviato Antonio Ghirelli. I toni sono in questo caso più sfumati, il taglio è più sportivo che socio-politico, ma a rendere insopportabile il secondo schiaffo è il maggiore prestigio internazionale del quotidiano milanese: stavolta l’ambasciatore cileno a Roma non ha bisogno di ritagli, il “Corriere della Sera” arriva sul suo tavolo, tutte le mattine. Nell’articolo si legge: «Un campionato del mondo a tredicimila chilometri di distanza: pura follia. Il Cile è piccolo, è povero, è fiero: ha accettato di organizzare quest’edizione della Coppa Rimet, come Mussolini accettò di mandare la nostra aviazione a bombardare Londra. La capitale dispone di settecento posti letto, il telefono non funziona, i taxi sono rari come i mariti fedeli. Un cablogramma per l’Europa costa un occhio della testa, una lettera impiega cinque giorni. Come metti piede a Santiago ti rendi conto che l’isola di Robinson Crusoe galleggia tuttora a pochi passi da questa straordinaria striscia di terra lunga quattromila chilometri». È tutto vero, ma da quelle parti la sensibilità nazionalistica è tanto alta quanto basso è il rispetto per la libertà di stampa e d’opinione. Scoppia il finimondo. La presidenza della repubblica cilena interviene con un comunicato ufficiale dello sfortunato Cortez, dopo l’articolo di Pizzinelli. Si scatenano le radio commerciali, in mano alla ricca colonia tedesca, dove non scarseggiano i fuoriusciti nazisti: è un martellamento anti-italiano continuo, sia di notte sia di giorno. Il quotidiano “La Hora” esce con il titolo a tutta pagina. «Prensa italiana insulta a Chile - Pais de selvajes, dicen». Per gli italiani diventa molto pericolo trovarsi in Cile. Gli inviati del quotidiano francese “L’Équipe” si offrono di organizzare un incontro fra giornalisti italiani e cileni; la riunione è freddissima, la mediazione fallisce. Pizzinelli, che doveva scrivere solo corrispondenze di “colore” prima del mondiale, è già partito. Ghirelli invece resta, in quanto deve raccontare quello che succede nel girone di Vina del Mar. Generosamente offre la rinuncia al mondiale: «Se la mia permanenza è un problema, sono pronto a partire». «Non se ne parla neppure, hai fatto il tuo dovere e resti dove sei», gli risponde Alfio Russo, il direttore del “Corriere della Sera”. Ecco il racconto del giornalista: «Quell’anno io lavoravo per il “Corriere della Sera”, dove mi aveva chiamato Gino Palumbo. Un amico carissimo, un maestro della nostra professione. Arrivai a Santiago del Cile tre settimane prima dell’inizio del Mundial per preparare, come diciamo noi, l’avvenimento ed ambientarlo in un paese che allora era semi sconosciuto alla nostra opinione pubblica. Appena uscito dall’aeroporto, sulla strada provinciale che portava in città, mi vidi venire incontro una sequenza di tristissime “Favelas” come le chiamano in Brasile, casupole miserabili, capanne, abitate da poverissimi “campesinos”, donne lacere, bambini scalzi. Riportai un’impressione cosi deprimente che ne feci oggetto della prima corrispondenza da telefonare al giornale: in buona sostanza mi chiedevo come avesse fatto la FIFA ad assegnare l’organizzazione dei campionati del mondo ad un paese cosi sottosviluppato. Quello che sarebbe successo pochi anni dopo, dalla vittoria delle sinistre al “golpe” dell’esercito, fino alla morte del presidente Allende, mi avrebbe dato ampiamente ragione, ma il guaio, in quel frangente, fu che un altro collega, Pizzinelli, capitato in Cile come inviato della “Nazione” di Firenze indipendentemente dal Mundial, aveva pubblicato negli stessi giorni un articolo assai più critico e pesante del mio. Un poeta cileno, che viveva a Roma, si accorse delle due corrispondenze e ne parlò velenosamente in una trasmissione dai microfoni di una delle moltissime radio “libere” che allora imperversavano a Santiago. Ai dirigenti politici e sportivi non parve vero di strumentalizzare la comunicazione del poeta in trasferta per parare un colpo ben più micidiale: l’eventualità che la nazionale italiana, capitata per sua disgrazia nel girone eliminatorio dei padroni di casa, potesse eliminare il Cile su due piedi. Con una manovra tipica di un paese arretrato e dominato virtualmente da una dittatura nazionalistica, i nostri articoli furono ripuliti, amplificati, esagerati, anatomizzati e denunciati alla “torcida” cilena come due mostruosi oltraggi all’onore della patria. Ci fecero dire che avevamo insultato tutte le donne e deriso tutti gli uomini di quella simpatica terra. Ignorando che Pizzinelli era tornato in Europa da un pezzo, stamparono su tutta la prima pagina dei giornali della sera che la polizia cercava due stranieri, per arrestarli ed espellerli “manu militari”. Le radio “libere” vomitarono giorno e notte torrenti di male parole nei confronti dei due giornalisti. Gli italiani, i giocatori italiani, la Nazionale italiana: il bersaglio era questo. L’obiettivo era di creare un’atmosfera d’odio e d’intolleranza quando gli azzurri fossero scesi in campo nella seconda partita del gruppo, contro i padroni di casa. Ma, come ogni dramma, anche l’avventura cilena ebbe un seguito grottesco, almeno per me. Una sera che andai a cenare in un elegante ristorante di Santiago, mi vidi avvicinare da un cameriere che mi chiese se ero io. Pur esitante, ammisi di esserlo. Il bravuomo mi spiegò allora che quel signore laggiù, al tavolo in fondo, era il campione cileno di judo e voleva conoscermi. Ci vollero il bello ed il buono per convincere il campione che le cose peggiori sulle signore locali le aveva scritte Pizzinelli. Un’altra volta a Vina del Mar, dove ero stato spedito per seguire le partite del Brasile, svegliandomi alle otto, chiamai per il caffé. Pochi minuti e la porta della mia stanza si spalancò per lasciar entrare tre cameriere di colore. Tre, deliziose, sinuose ragazzine completamente furenti che in castigliano assolutamente incomprensibile, ma scoppiettante come un petardo, mi aggredirono, sedendosi tutte e tre sul letto e dicendomene di tutti i colori. Invano tentai di sedurle con il più amabile dei sorrisi ed annuendo vigliaccamente ad ogni loro accusa: se ne andarono lanciandomi altri improperi e, naturalmente, riportandosi indietro, per vendetta, il caffé. L’episodio più divertente accadde tuttavia non a me, ma al vice-presidente della Federazione Calcio argentina, che si chiamava Piccinelli. In spagnolo la “ci” si pronuncia “os” esattamente come la “zeta”. I tifosi cileni furono informati che quel mascalzone di giornalista italiano era in albergo al “Panamericano”, si precipitarono nell’atrio, travolsero la resistenza del personale e piombarono in camera dell’infelice dirigente. Il povero Piccinelli, in pigiama, urlava in spagnolo «Yo soy castellano !!!» e correva per tutta la stanza inseguito da una torma di cileni inferociti che volevano linciarlo. Per fortuna, poi, tutto si chiarì». Su questo scenario, a metà strada tra le farse del ritiro azzurro ed il dramma di una delegazione sotto il tiro di una furiosa campagna di stampa e di un tifo sovreccitato, si erge la figura dinoccolata, nasuta e molto goffa del signor Kenneth Aston, arbitro. Chi è costui ??? Un incapace, un mediocre raccomandato che ha fatto carriera solo per le numerose spinte della Football Association, potentissima, quando l’inglese sir Stanley Rous presiedeva la FIFA ??? Un sedotto da allettamenti cileni ??? Lo strumento di una macchinazione per favorire gli incassi, per mandare avanti il più possibile la squadra cilena e togliere di mezzo l’Italia detestata, come la Spagna, dalle rivali europee per l’abuso di oriundi ??? Non lo si saprà mai; quello che conta è che, sul campo, nella feroce e cruenta battaglia fra Italia e Cile, la sera del 2 giugno 1962, tutti vedono quello che accade e cosa combina il signor Aston. Come hanno confidenzialmente avvertito gli svizzeri, i cileni non si limitano a picchiare, provocano, con sputi ed insulti. David cade subito nella trappola, entrando duro su Sanchez. Maschio s’innervosisce quando gli ripetono più volte, in spagnolo, “Traidor”. Dopo sette minuti Ferrini è espulso, per avere reagito con un calcio a Landa. Nel parapiglia Leonel Sanchez colpisce con un pugno Maschio, fratturandogli il naso; il giocatore azzurro resta in campo, nonostante il cotone nelle narici per tamponare l’emorragia. Italia in dieci e con un ferito. Pochi minuti prima del riposo, Sanchez mette K.O. anche David con un pugno: il guardalinee messicano Elenaz avverte Aston, che annuisce, ma non punisce il “pugile” cileno. Subito dopo David si vendica con un tackle a gamba tesa su Sanchez ed Aston lo espelle. In nove e con Maschio impossibilitato a giocare, i giocatori azzurri si difendono come possono, ma al 74simo subiscono la rete di Ramirez, raddoppiata da Toro, due minuti prima della fine della partita. Si grida allo scandalo. L’arbitro olandese Horn guida la cordata, i giornalisti de “L’Équipe” sono indignati, un fremito di rabbia scuote l’accampamento del mondiale andino, i dirigenti di altre nazionali si domandano per quale motivo l’Italia sia rientrata in campo nella ripresa. La vergogna sfiora solamente la poltrona della FIFA, dove Stanley Rous continua a scolarsi, serafico ed imperturbabile, allungatissime dosi del suo scotch preferito. Così non accade proprio nulla, neanche quando la delegazione italiana, guidata da Artemio Franchi, presenta un reclamo ufficiale di protesta e la FIFA annuncia l’apertura di un’inchiesta. Sarà l’ennesima beffa, in quanto non sarà mai presentata. Ma Aston non avrebbe dovuto arbitrare la partita dell’Italia. Quattro giorni prima dell’incontro, infatti, il 27 maggio, è comunicato ufficialmente che la commissione arbitrale della FIFA ha accolto il reclamo italiano contro la designazione dello spagnolo Gardeazabal per la partita Italia-Cile, perché di madrelingua simile a quella di una delle due squadre; pertanto, è disegnato l’arbitro inglese; l’anno precedente lo stesso Aston aveva arbitrato l’amichevole Cile-Irlanda, fischiando due rigori molto dubbi contro i cileni e suscitando aspre proteste, al limite della ricusazione, da parte dei dirigenti sudamericani. Franchi smentirà, dopo la partita, di avere ricusato Gardeazabal ed affermerà che la delegazione italiana aveva solo chiesto di sostituire i guardalinee cileni designati per la terza gara Italia-Svizzera, in osservanza del principio che in ogni girone non devono esserci ufficiali di gara connazionali delle quattro squadre; in accoglimento di questa tesi l’inglese Aston, già designato a dirigere Bulgaria-Ungheria, partita del girone dell’Inghilterra, era stato trasferito ad Italia-Cile in sostituzione di Gardeazabal. Poche ore dopo Italia-Cile è annunciato che Aston non arbitrerà più nel mondiale cileno, perché si è infortunato al tendine della caviglia destra e la sera dopo la partita, l’arbitro è convocato dal presidente della FIFA, Rous, inglese pure lui: il colloquio è lungo, circa due ore. Due giorni dopo Aston guarisce miracolosamente dall’infortunio e viene assegnato, come guardalinee, per Cile-Germania. Qualche tempo dopo Aston dichiarerà al quotidiano catalano “Mundo Deportivo”: «Non mi sono mai spaventato prima di una partita, per quanto difficile, ma devo confessare che quella sera ero davvero disperato. Ad un certo punto pensai di sospendere l’incontro, che aveva scatenato un’autentica esplosione d’isterismo collettivo negli spettatori e si era trasformato in una “caccia all’uomo”, fra i giocatori. Durante l’intervallo, decisi che avrei fatto terminare la partita a qualsiasi costo; se l’avessi sospesa, infatti, la reazione della folla sarebbe stata imprevedibile: ci sarebbero stati gravissimi incidenti, forse addirittura una catastrofe. Non potevamo assumerci una simile responsabilità». Dopo il Mondiale, Ken Aston diventa membro della commissione arbitrale della Coppa del Mondo della FIFA. Ed in tale veste parteciperà anche ai Mondiali messicani del 1970, a testimonianza della potenza della federazione inglese. C’è un ultimo retroscena da raccontare. Quando Herrera fu costretto a lasciare la panchina azzurra, constatate le esitazioni di Mazza e la debolezza di Ferrari, si pensò di ingaggiare Nereo Rocco, con un blitz dell’ultimo momento. «Sì» racconta Maldini «noi milanisti avevamo sentito dire che c’era un accordo segreto in questo senso. Ed io ne ebbi conferma quando, al momento della partenza, il dottor Spadacini mi affidò una lettera per Rocco, dicendomi: “la dia al maestro, quando lo vede”. Non recapitai la lettera perché Rocco, che era in Sud America, si tenne alla larga dal nostro ritiro. Restituii la lettera a Spadacini al suo arrivo in Cile. Rocco, lo vidi solo dopo il Mondiale, quando noi milanisti ci ritrovammo a Buenos Aires per la nostra tournée in Argentina e Brasile». Il progetto di chiara marca milanista fallì per le prevedibili reazioni interiste e juventine e si preferì continuare con Mazza e Ferrari. L’ultima partita vede l’Italia battere la Svizzera, per 3 a 0, con goal di Mora e doppietta di Bulgarelli. Non servirà a niente e la squadra azzurra dovrà mestamente fare le valigie ed abbandonare il Mondiale.
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