Tutte le partite ufficiali della stagione |
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N |
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31 |
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T |
La Juventus dal 1900 ad oggi |
Gare ufficiali |
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Serie A |
4.579 |
Giocate |
3.088 |
2.508 (54,77%) |
Vittorie |
1.699 (55,02%) |
1.172 (25,60%) |
Pareggi |
836 (27,07%) |
899 (19,63%) |
Sconfitte |
553 (17,91%) |
8.194 |
Fatti |
5.378 |
4.459 |
Subiti |
2.910 |
C. Europee |
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Era 3 pti (uff.) |
512 |
Giocate |
1.557 |
281 (54,88%) |
Vittorie |
927 (59,54%) |
113 (22,07%) |
Pareggi |
369 (23,70%) |
118 (23,05%) |
Sconfitte |
261 (16,76%) |
871 |
Fatti |
2.737 |
472 |
Subiti |
1.378 |
Tutti i numeri della Juventus |
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Pubblicato il 05.12.2005
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La Juve contro i ragazzini
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di Bidescu
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Stadio “Comunale” di Torino: è il 16 aprile 1961, una domenica piovosa, la entottesima di campionato. Il torneo è a 18 squadre, mancano ancora sette giornate alla fine, ma quella di oggi non è una partita come le altre, è Juventus-Inter, il “derby d’Italia”. La squadra bianconera è in testa alla classifica con 40 punti, grazie alle giocate dei suoi “tre re”: John Charles la potenza, Giampiero Boniperti la classe, Omar Sivori l’estro e la fantasia. L’Inter insegue, con quattro lunghezze di svantaggio, ma non è per niente rassegnata. É l’Inter di Helenio Herrera ed Angelo Moratti, una squadra indomita, senza paura, senza complessi d’inferiorità; quella di Picchi, Bolchi, Bicicli; quella di “tacchino freddo” Firmani e del giovanissimo Corso; insomma, la genitrice della “Grande Inter”. La partita è delicatissima e decisiva; lo sanno i giocatori, lo sanno i tecnici e lo sa anche il pubblico. Una vittoria della Juventus vorrebbe dire scudetto sicuro, una vittoria dei nerazzurri equivarrebbe a rimettere tutto in gioco. L’incontro è definito dai giornali il “match dell’anno”’ e la risposta del pubblico è talmente straordinaria da andare al di là d’ogni previsione. Quando le squadre entrano in campo, infatti, lo stadio “Comunale” di Torino offre uno spettacolo mai visto in precedenza. La folla forma un vero e proprio muro; la Juventus ha venduto poco più di 61.000 biglietti per un incasso record di 109 milioni di Lire, primato assoluto per Torino e per il campionato, ma si capisce subito che gli spettatori sono molti, molti di più. Non si sa chi li abbia fatti entrare, ma resta il fatto che, quando l’arbitro Gambarotta fischia l’inizio della partita, c’è qualcosa, nel cielo plumbeo di Torino, che fa pensare che stia per scoppiare un grosso temporale. L’incontro, comunque, comincia; l’Inter, considerata oramai stanca e tagliata fuori dalla lotta al vertice, si presenta al contrario in gran forma. Bicicli, Corso, Bolchi e Firmani sembrano imprendibili e la Juventus è costretta a subire. C’è un tiro deviato a fatica dal portiere juventino Vavassori, segue un’incursione nerazzurra bloccata, a fatica, al limite dell’area, quindi un tiro di Nicolè terminato sul fondo ed una traversa colpita dall’interista Morbello; il pubblico si eccita, si scalda, applaude, partecipa, fino a quando non riesce più a restare al suo posto, non per l’entusiasmo, ma proprio perché non riesce “fisicamente” a stare sugli spalti. Tra uno che grida, uno che si agita, un altro che non vede, perché ha davanti uno con l’ombrello aperto, lo stadio “Comunale” di Torino diventa troppo stretto. Il pubblico si accalca alle reti, schiaccia, spinge ed alla fine meno cinquemila spettatori non trovano altra soluzione che scavalcare le reti ed andarsi a piazzare ai bordi del campo. Alla mezz’ora del primo tempo i giocatori juventini ed interisti vengono colti da tanta paura, così come l’arbitro Gambarotta. Le intenzioni dei tifosi sono totalmente pacifiche, nate esclusivamente dal desiderio di vedere meglio la partita, ma il direttore di gara immagina, con terrore, cosa potrebbe succedere nel momento in cui dovesse prendere alcune decisioni difficili a favore di una o dell’altra squadra ed ordina immediatamente la sospensione del gioco; fino a quando la gente non si sarà allontanata dal campo, la partita non potrà riprendere. I dirigenti della Juventus si danno immediatamente da fare; l’altoparlante dello stadio impartisce ordini perentori: «Allontanatevi immediatamente dal campo di gioco, altrimenti la partita non sarà ripresa». Il grosso problema è che gli spettatori non hanno più un posto dove rientrare. L’arbitro Gambarotta si fa parte dirigente, reprime la paura e dopo dieci minuti di attesa, decide di ricominciare ad arbitrare. Ma il tentativo è di breve durata: due minuti scarsi e poi tutti negli spogliatoi. Una situazione senza precedenti per il calcio torinese, che pure in altre due occasioni aveva vissuto episodi del genere: il 16 maggio 1948, quando gli azzurri furono sconfitti dall’Inghilterra per 4 a 0, ed il 22 ottobre del 1950, allorché, sullo stesso campo, Juventus e Milan si affrontarono con il pubblico a pochi metri dalle linee laterali, pareggiando 1 a 1. «Ma i tempi cambiano» commentò Gren, che allora militava fra i rossoneri, al termine dell’incontro «e cambia anche lo sport». Arriva il questore e duemila poliziotti; giunge anche Umberto Agnelli, presidente della Juventus, che confabula con Gian Marco Moratti, figlio del presidente dell’Inter. Arriva anche Walter Mandelli, dello staff dirigente bianconero ed ancora l’avvocato Enrico Gattai, accompagnatore ufficiale dell’Inter. La confusione regna sovrana, fino a quando, alle 17:25, mentre fuori ancora piove a dirotto, l’arbitro Gambarotta decide di sospendere definitivamente la partita. Juventus-Inter non si giocherà più. Dopo un’ora Bruno Bolchi, capitano dell’Inter, entra nello stanzino dell’arbitro per consegnare il ricorso ufficiale con cui l’Inter chiede la vittoria a tavolino. Helenio Herrera, detto “habla habla”, tiene fede più che mai al suo soprannome e continua a gettare benzina sul fuoco. «Avremmo vinto sicuramente la partita, perché eravamo i più forti», dice ai giornali di tutta Italia e le sue dichiarazioni accendono sempre più le polemiche. La Juventus risponde che non si era neanche a metà partita e che, se anche l’avversario aveva dimostrato di saper stare in campo, certo sarebbe crollato con l’andar del tempo. La tensione è palpabile e cresce di momento in momento. L’Inter, fermamente decisa a non mollare, vuole il 2 a 0, perché con quei due punti si porterebbe a sole due lunghezze dai bianconeri, con notevoli possibilità di aggiudicarsi lo scudetto. Il 26 aprile 1961 il giudice sportivo della Lega da ragione all’Inter: la Juventus è ritenuta “oggettivamente responsabile” di quanto si è verificato e quindi deve subire la sconfitta per 0 a 2. L’Inter è in festa, il “mago” Herrera lancia ulteriori proclami di vittoria e a Milano si riparla di scudetto, un sogno che sembrava destinato ad essere abbandonato. Ma la Juventus non ha alcuna intenzione di subire passivamente la decisione del giudice sportivo e fa reclamo alla C.A.F., la commissione d’appello federale. I legali bianconeri affermano di non avere alcuna responsabilità di quanto è successo; i biglietti venduti erano 61.000 e, aggiungendo i 7.000 abbonati, si arriva al massimo a 68.000, ben al di sotto della capienza dello stadio che è fissata in 72.000 posti. La questione diventa sottile e complicata. L’Inter è convinta di essere dalla parte della ragione, anche in virtù di un precedente: nell’autunno appena trascorso, la Juventus era stata protagonista di un episodio simile, allo stadio “Comunale” di Bergamo, dove i tifosi locali avevano lasciato le tribune per fermarsi ai bordi del campo. Boniperti, capitano della Juventus, aveva fatto dire, attraverso l’altoparlante, che se non fossero tornati tutti al loro posto la squadra bianconera, non avrebbe cominciato la partita. Gli spettatori, ubbidienti, erano ritornati al loro posto e la partita si era potuta svolgere in modo regolare. La Juventus, però, chiedeva un trattamento diverso, perché i tifosi dell’Atalanta avevano un posto dove tornare, mentre quelli torinesi, invece, non avrebbero potuto sistemarsi da nessuna parte e non avevano potuto sgombrare il campo di gioco; tutto questo, chiaramente, non per colpa della squadra bianconera. La situazione rimane bloccata per due mesi poi, il 3 giugno, proprio alla vigilia dell’ultimo turno di campionato che prevede l’Inter di scena a Catania e la Juventus in casa contro il Bari, la C.A.F. cancella la sentenza di primo grado. La squadra bianconera non è ritenuta “oggettivamente colpevole” per l’invasione e, quindi, non deve essere punita con la sconfitta a tavolino. La C.A.F. decide inoltre che la partita deve essere rigiocata. Per l’Inter è uno choc terribile, la società nerazzurra tira in ballo la doppia carica di Umberto Agnelli, presidente federale e presidente della società bianconera, sostenendo presunte ingerenze nella decisione. La squadra subisce il colpo ed il giorno incappa in una pesante sconfitta per 2 a 0 a Catania, mentre la Juventus pareggia in casa col Bari e porta il suo vantaggio a tre punti. Questa concomitanza di risultati significa scudetto per la Juventus e rabbia per l’Inter. Ma il campionato non è finito, almeno per le due squadre rivali, perchè c’è da giocare la ripetizione della partita. Il problema è lo stato d’animo con cui le due squadre scendono in campo e la forza pubblica si mobilita, prevedendo disordini fra i tifosi; il questore di Torino prende ogni precauzione, ma è l’Inter a fugare ogni dubbio e a tranquillizzare la situazione. Angelo Moratti ed Helenio Herrera, sostenendo che quella partita non si sarebbe dovuta giocare, decidono di schierare undici ragazzini: dieci al loro esordio assoluto in serie A (tra questi Sandro Mazzola) e soltanto uno, il portiere Annibale, con una piccola esperienza, avendo giocato qualche partita in campionato. I dirigenti bianconeri protestano stupiti: «Non possiamo credere ad una tale mancanza di sportività», anche Vittorio Pozzo è indignato: «C’è una società che, avendo sporto un reclamo ed essendoselo visto respinto, risponde con uno sberleffo che è uno schiaffo in faccia alle autorità costituite, Lega e Federazione per prime», ma il presidente e l’allenatore nerazzurro mantengono la loro parola ed inviano a Torino una squadra di ragazzini, guidati in panchina da Giuseppe Meazza. Helenio Herrera rimane polemicamente a Milano ad assistere ad una partita della squadra “primavera”. Un precedente si era già verificato al termine del campionato 1909-1910, quando la Pro Vercelli, non accettando il rinvio dell’incontro chiesto dalla squadra piemontese per la mancanza di parecchi titolari, schierò contro l’Inter una squadra di giovanissimi, subendo successivamente una pesante squalifica. Ecco le formazioni che scenderanno in campo: Juventus: Mattrel; Emoli, Sarti; Boniperti, Cervato, Colombo; Mora, Charles, Nicolè, Sivori, Stacchini. Inter: Annibale; Riefolo, Tacchini; Morosi, Masetto, Dal Maso; Manini, Mazzola, Fusari, Guglielmoni, Ghelli. La partita-farsa termina 9 a 1. Omar Sivori, acerrimo nemico dell’Inter e di Herrera in particolare, segna sei goals, conquistando così il primo posto nella speciale classifica che conteggia i goal realizzati rispetto alle presenze, superando Brighenti, della Sampdoria, che per lungo tempo aveva comandato. Un successo personale del “Cabezon”, che uguaglia anche il primato di Silvio Piola, anche lui marcatore di sei reti in una stessa partita della massima Divisione. Giampiero Boniperti, molto più signore, gioca col cuore gonfio di amarezza per questa sconfitta dello sport ed alla fine della partita, rientrato negli spogliatoi, si toglie lentamente le scarpe bullonate, le porge al magazziniere dicendogli: «Le metta pure via. Non gioco più», lasciando per sempre il calcio giocato. Anche per Umberto Agnelli quella partita è molto significante. Il dirigente della Fiat, infatti, si dimette dalla carica di presidente della Federazione Italiana Gioco Calcio, carica che ricopriva insieme a quella di presidente della Juventus. Il racconto di Mazzola: «Boniperti era stato amico di mio padre ed era un calciatore che, da ragazzo, vedevo come un gran campione. Fu molto simpatico con me in quella gara, ma non mi anticipò che quella sarebbe stata, per lui, l’ultima della sua carriera. Non mi disse, insomma, che io avrei giocato la prima della mia vita e lui l’estrema. Si tenne il segreto fino al fischio finale dell’arbitro, fino a quando consegnò le scarpe al magazziniere A fine match mi salutò e mi fece coraggio, spronandomi a dare sempre il meglio di me stesso. La Juventus partì un po’ molle quel giorno, sembrava non sentire la partita, al punto che un mio compagno, un toscano che si chiama Morosi, mi disse “Oh Madonnina, Madonnina sto fermando Sivori !!!” Questo Morosi aveva di fronte un Sivori svogliato, che sembrava indifferente. E pensare che poi, dopo la gara, il povero Morosi, disperato, non voleva più tornare a casa visto che il “Cabezon” aveva realizzato sei goals e, quindi, non aveva più coraggio di presentarsi davanti agli amici Ad un certo punto, Boniperti si arrabbiò o, comunque, diede l’impressione di farlo e sollecitò Sivori ad impegnarsi. L’atmosfera che vivevamo era surreale; capitò che, ad un tratto, casualmente, feci un tunnel a Charles. Avevo visto quell’enorme montagna arrivarmi addosso e con il tacco, quasi spaventandomi, gli infilai il pallone in mezzo alle gambe. Allora lo guardai e gli dissi “Scusi, non l’ho fatto apposta”. In porta c’era Carletto Mattrel. Quando andai sul dischetto per tirare il rigore, cercai di non fare capire al portiere juventino di essere molto emozionato e cercai proprio di giocare su questo, per poter ingannare Mattrel. Mi misi, perciò, a fissare il palo sulla destra del portiere, in modo da dargli l’impressione che avrei calciato sicuramente da quella parte. Ma, invece, tirai dall’altro lato, battendo Carletto. Ero proprio sotto la curva “Maratona”, quella dei tifosi del Torino, la squadra di mio padre». Sivori racconta i suoi sei goals: «Il “Pallone d'Oro” lo avevo già conquistato, c’era solo una cosa che poteva interessarmi: il premio “Petrol-Caltex” che, peraltro, avevo già vinto una volta. Così, quando Boniperti mi esortò a darmi da fare, mi misi a segnare. Dato che ero a pochi goals da Sergio Brighenti mi resi conto che avevo l’occasione per raggiungerlo e superarlo ed aggiudicarmi quella bellissima statuetta d’oro del “Petrol-Caltex”, che mi piaceva tanto e che era data all’attaccante, non con più reti all’attivo, bensì con il miglior coefficiente in rapporto alle gare disputate ed alle marcature. Allora ce la misi tutta. Dopo avere iniziato senza passione, al momento del secondo goal pensai “E se m’impegnassi sul serio ??? Quella statuetta è bella !!!” Fatto sta che, con quelle sei marcature, feci persino un record che in quel momento mi diede soddisfazione». Angelo Moratti, l’impareggiabile presidente dell’Inter, dopo aver subito il “torto”, convoca i suoi collaboratori più fidati e dice: «Adesso mi hanno fatto girare veramente le scatole. Voglio vincere cinque scudetti di fila. Comprate i migliori giocatori del mondo, a qualsiasi prezzo». Arriveranno Suarez, Jair, Burgnich, Peirò, Szymaniak, Hitchens e l’Inter diventerà la “Grande Inter”. Di scudetti ne vincerà tre, dal 1963 al 1967, ma avrebbero potuti essere benissimo cinque. Uno, infatti, gli sarà portato via dal Bologna nel drammatico spareggio dell’anno del “doping”; l’altro lo vincerà in maniera assai rocambolesca la Juventus, in quella terrificante partita di Mantova, quando Sarti consegnerà lo scudetto alla squadra bianconera all’ultima giornata di campionato, con una clamorosa papera.
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