La stagione calcistica 1980-81 è senza dubbio una delle più importanti nella storia del campionato italiano degli ultimi trenta anni; è il campionato che segue lo scandalo del cosiddetto calcio-scommesse, che ha visto coinvolti nomi illustri (da Paolo Rossi a Bruno Giordano) e meno, società piccole e grandi (il Milan, retrocesso in serie B per la prima volta nella sua storia), la stagione che ha inferto alla credibilità del calcio italiano un colpo durissimo e che condizionerà il Campionato Europeo, disputato proprio in Italia, dove la nostra Nazionale, priva dei suoi due cannonieri principali, Rossi e Giordano, non andrà oltre un deludentissimo quarto posto. Ed è anche la stagione segnata dalla riapertura, dopo quindici anni, delle frontiere ai calciatori stranieri, uno per squadra, al momento. Ma il campionato 1980-81 è anche quello che vede compiersi un evento apparentemente marginale e che, invece, avrà ripercussioni ben al di là del suo ambito specifico. Nasce infatti, una trasmissione televisiva dedicata al calcio che si colloca, non nel tradizionale palinsesto domenicale (occupato dai canonici “90° minuto” e “Domenica sportiva”), ma il giorno dopo. Si chiama, infatti, “Il processo del lunedì” un programma ideato da un giornalista molisano, Aldo Biscardi, figura di secondo piano del giornalismo sportivo. Come tutte le idee geniali, quella di Biscardi è semplicissima: tramutare in programma televisivo una delle occupazioni prevalenti della maggior parte degli italiani maschi, ossia commentare, il giorno dopo, le partite del campionato di calcio, secondo i mutevoli umori dettati dal tifo per la propria squadra del cuore, ma anche, se non soprattutto, contro le altre. Tali commenti vengono organizzati, come specifica il titolo del programma, in forma di processo, con una o più tesi accusatorie e relative tesi difensive, affidate ai corrispondenti “avvocati”. L’importanza di questa trasmissione, probabilmente oltre le sue stesse previsioni ed intenzioni, è cruciale perché “ Il Processo” sarà il catalizzatore di un fenomeno che porterà il calcio, in tutti i suoi aspetti (compresi quelli al di fuori della partita vera e propria) a diventare un gigantesco genere mediatico; a seguito di ciò, si produrrà anche una “mutazione genetica” del giornalismo sportivo, che uscendo dall’alveo della carta stampata perderà le sue connotazioni a cavallo tra epica popolare e letteratura minore, unendo umori, passioni ed antipatie in veri e propri “blocchi” d’opinione influenti e capaci di orientare azioni ed opinioni sempre, beninteso, nell’ambito calcistico. Grazie alla fortunata coincidenza temporale fra l’avvento di questo programma che, essendo realizzato a Roma, attinge largamente dal giornalismo sportivo della capitale, con l’ascesa della Roma fra i club di vertice del campionato, la stampa sportiva romana uscirà dal (vasto) “ghetto” capitolino, assurgendo in breve tempo ad un vero e proprio contropotere mediatico, autoinvestito di una sorta di missione redentrice di torti (più presunti che reali) perpetrati dalle squadre più potenti, ed in particolare (ecco il punto) dall’odiata Juventus. Questa è la chiave degli eventi di quell’anno, e degli anni successivi: il cosiddetto “giornalismo dalla parte dei tifosi”, è ristretto al servizio di una tesi: la Juventus è favorita dagli arbitri. Il campionato 1980-81 sarà segnato da questi fatti in maniera particolare. Che Juventus è quella che si presenta ai ranghi di partenza ??? Il campionato precedente, vinto dall’Inter di Eugenio Bersellini, è stato una delusione: per la prima volta dall’arrivo di Trapattoni, i bianconeri non hanno conquistato neppure un titolo. La campagna acquisti è contraddittoria: Boniperti insegue il grosso colpo sul mercato internazionale e lo manca di poco; sfuma infatti, anche per l’opposizione del potente capo della federcalcio argentina Grondona, l’acquisto del diciannovenne Diego Armando Maradona. La Juventus cerca un regista di centrocampo, merce divenuta rara, tant’è che tratterà a lungo con l’Ascoli per il trentunenne (!!!) Adelio Moro, prodotto del vivaio interista e venuto alla ribalta dopo una lunga gavetta in provincia; dopo un ab-boccamento per Kevin Keegan, Boniperti prenderà il suo regista dall’Arsenal, la squadra che aveva eliminato la Juventus l’anno prima in semifinale di Coppa Coppe, con un goal all’ultimo minuto di tale Vaessen. Sarà proprio il giocatore messosi più in luce in quell’occasione, l’irlandese Liam Brady, il “colpo” di mercato bianconero. Sul fronte interno, a parte lo stopper Osti, non arriva nessun altro: Boniperti tratterà a lungo con il Cagliari per l’attaccante Selvaggi ed il tornante Bellini, ma alla fine si accontenterà di prestare ai rossoblu Tavola e Virdis, sperando così di rigenerare l’abulico centravanti sardo. E la concorrenza ??? I campioni d’Italia neroazzurri, dopo aver scartato giocatori come Platini e Falçao, punteranno sull’austriaco Herbert Prohaska, centrocampista d’ordine affidabilissimo, ma lento (il suo soprannome era “lumachina”); il brasiliano Falçao andrà invece alla Roma, mentre, insieme a solenni bidoni quali Luis Silvio (Pistoiese), Eneas (Bologna), Neumann (Udinese), Fortunato (Perugia), Van der Korput (Torino), arrivano campioni come l’olandese Ruud Krol (Napoli) e l’argentino Daniel Bertoni (Fiorentina) ed un buon giocatore, come Juary (Avellino). Sullo strascico del calcio-scommesse, Avellino, Bologna e Perugia partono con un handicap di cinque punti; le prime due faranno il miracolo di salvarsi. Il campionato comincia all’insegna di due squadre “sorpresa”: la Roma ed il Napoli. I giallorossi sono guidati dal santone Nils Liedholm, che costruisce una squadra estremamente funzionale alle caratteristiche dei suoi uomini: avendo, davanti all’ottimo portiere Tancredi, una difesa molto lenta (tanto nei vecchi Spinosi e Turone, quanto nel giovane Dario Bonetti) Liedholm manda in soffitta le marcature ad uomo e sperimenta la “zona”, già attuata in larga scala nel calcio nordeuropeo, ma poco praticata in Italia; la Roma gioca un calcio sornione, felpato, cadenzato sul passo di Agostino Di Bartolomei, regista arretrato dal tiro al fulmicotone, e sulle giocate sontuose di Paulo Roberto Falçao, un campione formidabile, giocatore a tutto campo di classe limpida, tatticamente intelligentissimo. Carlo Ancelotti è il motorino, sulle ali Bruno Conti dribbla ed inventa, mentre l’umile Scarnecchia garantisce i raccordi necessari: a finalizzare ci pensa Roberto Pruzzo, bomber efficacissimo che sarà capocannoniere per tre volte. Il Napoli, dal canto suo, è un riuscito mix tra anziani (Krol, “Giaguaro” Castellini, Oscar Damiani ed il ferrigno Bruscolotti) e nuovo (Musella, Pellegrini). E la Juventus ??? La squadra bianconera arranca: nelle prime cinque partite una sola vittoria, tre pareggi ed una sconfitta interna col Bologna. Brady sembra spaesato, alcuni “vecchi” come Causio e Bettega segnano il passo, il gioco non va proprio. Alla sesta c’è il derby. Succede di tutto ed inizia il tiro al bersaglio contro la Juventus. che va in vantaggio con un goal di Causio, ma al 60’ il Toro pareggia con un goal di Graziani, viziato da un evidente fallo su Zoff: proteste accese, alcuni juventini, in primis Bettega, ingaggiano un duello rusticano con l’arbitro Agnolin, che i bianconeri accuseranno di varie intemperanze (dai “vaffa” al dito medio esibito in risposta alle proteste juventine fino alla frase che Agnolin rivolge ai giocatori juventini “vi faccio un c… così”, accompagnata dal classico gesto con le mani). Ma sarà il referto dell’arbitro che farà testo; perduto il derby (saltati i nervi, “Ciccio” Graziani farà anche il secondo goal), la Juventus si ritrova con quattro squalificati: Bettega e Gentile per due giornate, Furino e Tardelli per una. Parte la grancassa mediatica della trasmissione di Biscardi, tutta per Agnolin che diventa un eroe, il modello dell’arbitro senza macchia e senza paura, molti anni prima di Collina; nessuno eccepirà quando, vari anni dopo, l’ex-fischietto di Bassano del Grappa diventerà un dirigente della Roma. Per la Juventus sembra notte fonda, ma la prima svolta è in arrivo. È il 23 novembre 1980, una data tragica per il paese, un terremoto violentissimo devasta Campania e Basilicata provocando lutti e distruzione. Il campionato di serie A è all’ottava giornata, l’avversaria è l’Inter campione d’Italia in carica, la Juventus è in emergenza, con pochi punti e molte scorie polemiche. All’appuntamento con l’Inter mancano Bettega e Gentile, ed il “Trap” improvvisa una Juventus con Marocchino numero nove, finto centravanti. Serve la prova d’orgoglio, e questa arriva, insieme al risveglio di quello che fino ad allora era stato un po’ l’oggetto misterioso, Liam Brady. Con l’Inter, Brady sale in cattedra e trascina la Juventus al successo maturato nel secondo tempo, con il rigore concesso al 5’ e trasformato dallo stesso irlandese, consolidato dal raddoppio di Scirea e non intaccato dalla rete interista di Ambu. É l’inizio della riscossa. La “Signora” inanella una serie di risultati positivi, inclusi i pareggi con le rivali Roma e Napoli, poi ingrana una marcia in più, collezionando cinque vittorie consecutive. Il “Trap” ha corretto la squadra, sacrificando un totem come il “Barone” Causio, in fase calante, per promuovere titolare Marocchino, cavallo pazzo dal dribbling ubriacante, che, insieme a Fanna, affianca Bettega ormai tramutato in “pivot” che apre i varchi per l’inserimento al tiro dei centrocampisti, tanto è vero che a fine stagione i cannonieri bianconeri saranno Brady con 8 goals, Tardelli e Cabrini con 7. Alla fine del girone di andata, la Juventus ha 18 punti, due meno della Roma, uno meno dell’Inter, alla pari con il Napoli. Un piccolo dispiacere è provocato da Virdis che segna per il Cagliari il goal del vantaggio al “Comunale” (pareggiato poi da Scirea), ma in seguito, la squadra bianconera, conquisterà sei successi consecutivi, compreso quello nel derby di ritorno. Si arriva così alla partita con il Perugia, il 22 marzo del 1981. I “grifoni” sono in disarmo, proiettati verso la retrocessione, ed hanno già incontrato Roma e Napoli, al cui cospetto si sono rivelati un comodo zerbino. Con la Juventus, però, gli umbri sembrano giocarsi la vita. Bagni e compagni sono insuperabili, la Juventus sbatte contro un muro, ed a nove minuti dalla fine sembra compiersi l’imprevisto, con un goal di De Rosa che pare mettere la parola fine ai sogni scudetto. All’85’, però, Domenico Marocchino caracolla sul fondo, la palla balla sulla linea: fuori, dentro ??? L’arbitro Terpin di Trieste (“né drago, né falco”, scriverà Vladimiro Caminiti) opta per la palla buona, sul cross di Marocchino, Furino si avventa a calciare, ma il portiere perugino Mancini lo travolge. Rigore, Brady pareggia, mentre da Catanzaro arriva la notizia del goal di Palanca che costringe la Roma sull’1 a 1. All’89’, in mischia, ancora Marocchino porta i bianconeri in vantaggio: il clima già surriscaldato diventa infernale, i perugini reclamano per un fallo di Brio (rientrato in campo in quell’occasione, dopo un infortunio che sembrava avergli stroncato la carriera), ma alla fine del match la Juventus è sola in testa alla classifica. Nel dopo partita succede di tutto, soprattutto una cosa senza precedenti: due giocatori del Perugia (Dal Fiume e Pin) accusano Bettega di averli invitati a far segnare la Juventus, impegnandosi meno. Posto, ma non accertato che qualcosa Bettega abbia detto (il giocatore juventino ha sempre negato, ma ciò non è mai stato preso in considerazione), non si comprende quale sia il “reato” contestato: corruzione, minacce ??? La “crociata” de “Il processo del lunedì” parte compatta, gli accusatori sono esonerati da qualsiasi prova: hanno detto che Bettega gli ha chiesto di far pareggiare la Juventus e tanto basta. La commissione d’indagine, nominata con solerzia, non lo è altrettanto nel decidere; quando lo fa, è già trascorso un altro mese, ed all’arrivo dell’ineluttabile squalifica per Bettega, mancano tre partite alla fine del torneo e due di queste sono la sfida-scudetto con la Roma, e la gara col Napoli, uscito dalla mischia ma pur sempre terza forza. Giustizia ad orologeria, dunque. La Juventus tiene botta e si presenta in campo il 10 maggio per il “big match” con i giallorossi, con un punto di vantaggio sui rivali e tre sul Napoli. Gara sofferta, equilibrata, ma è la Juventus che ha più occasioni per passare; Fanna (in due occasioni) e Prandelli “graziano” Tancredi e si rimane sullo 0 a 0. Con la Juventus in dieci per l’espulsione di Furino (evento completamente rimosso nelle rievocazioni a venire), nel finale va in goal, di testa, il libero giallorosso Turone, ma la rete viene annullato dall’arbitro Bergamo per fuorigioco. Di quella decisione arbitrale si parla ancora, nemmeno il filmato dell’omicidio di John Kennedy sarà oggetto di tante rielaborazioni, ralenty, ingrandimenti, analisi, manipolazioni. Sarà il presidente romanista Viola a pronunciare, sull’episodio, la “sentenza” definitiva: «Questione di centimetri», dirà, facendo, dal suo punto di vista, del sarcasmo amaro, ma implicitamente ammettendo la plausibilità dell’errore. Tant’è, il goal di Turone, riproposto fino alla nausea, si radicherà nell’immaginario antijuventino e farà, di un discreto giocatore, una sorta di martire dell’antistoria del calcio italiano, quella che pretende di riscrivere la realtà raccontando ai suoi adepti, in effetti già persuasi della tesi, che la Juventus ha rubato tutti i suoi successi. Il giocatore giallorosso, a distanza di tanti anni, commenta: «Sono convinto che fosse un goal valido, Pruzzo non era oltre i difensori e non lo ero neppure io, potevamo vincere lo scudetto. Sul piano personale, tuttavia, quell’ingiustizia mi ha concesso l’immortalità calcistica». Il campo, invece, dice ancora Juventus: a Napoli alla penultima giornata, Vinicio Verza, subentrato a Causio, tira al 64’ verso la porta biancoazzurra, ed il partenopeo Guidetti, sulla traiettoria, imprime alla palla la deviazione decisiva per battere “Giaguaro” Castellini. 1 a 0 per la squadra bianconera e discorso virtualmente chiuso; la parola fine viene scritta il 9 giugno 1981 al “Comunale” di Torino, quando una splendida “volèe” di Antonio Cabrini infilza la Fiorentina, me-tre la Roma non va oltre il pareggio ad Avellino. Contro tutto e contro tutti, la Juventus, per la diciannovesima volta nella sua storia, è campione d’Italia.
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