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Classifica campionato di Serie A
Squadra Pti Squadra Pti
Napoli 26 Torino 14
Atalanta 25 Roma 13
Lazio 25 Verona 12
Inter 25 Parma 12
Fiorentina 25 Como 10
JUVENTUS 24 Cagliari 10
Milan 18 Genoa 10
Bologna 18 Lecce 9
Udinese 16 Venezia 8
Empoli 15 Monza 8
Classifica completa, risultati, calendario
Le prossime gare in calendario
Data/Ora Cmp Partita
23.11 18:00 A Milan-Juventus
27.11 21:00 CL Aston Villa-Juve
01.12 20:45 A Lecce-Juventus
07.12 18:00 A Juventus-Bologna
11.12 21:00 CL Juve-Manchester City
14.12 20:45 A Juventus-Venezia
17.12 21:00 Ita Juventus-Cagliari
22.12 20:45 A Monza-Juventus
29.12 18:00 A Juve-Fiorentina
03.01 20:00 SCI Juventus-Milan
Calendario completo
Tutte le partite ufficiali della stagione
G. Pti Vit Par Sco Fat Sub  
9 16 4 4 1 12 5 C
7 15 4 3 0 16 7 F
0 0 0 0 0 0 0 N
16 31 8 7 1 28 12 T
Ultime 10 gare ufficiali
Data Cmp Partita Ris
28.09 A Genoa-Juventus 0-3
02.10 CL Lipsia-Juventus 2-3
06.10 A Juventus-Cagliari 1-1
19.10 A Juventus-Lazio 1-0
22.10 CL Juventus-Stoccarda 0-1
27.10 A Inter-Juventus 4-4
30.10 A Juventus-Parma 2-2
02.11 A Udinese-Juventus 0-2
05.11 CL Lille-Juventus 1-1
09.11 A Juventus-Torino 2-0
Punti 19 - Vinte 5 - Pari 4 - Perse 1
Gol fatti 19 - Gol subiti 11 - Vedi tabellini
Tutte le partite ufficiali della stagione
M Giocatore Pre Min Pan Gol
27 Cambiaso 16 1297 2 1
9 Vlahovic 16 1295 - 9
10 Yildiz 16 1139 3 4
5 Locatelli M. 14 1050 3 -
37 Savona 14 808 7 2
15 Kalulu 13 1077 3 -
4 Gatti F. 13 1032 5 -
19 Thuram K. 13 693 6 -
29 Di Gregorio 1 12 1049 3 -10
21 Fagioli 12 642 10 -
16 McKennie 12 613 8 2
8 Koopmeiners 11 829 2 -
22 Weah 11 525 6 4
7 Conceiçao 1 10 601 5 2
6 Danilo 1 10 428 11 -
32 Cabal 9 618 8 -
26 Douglas Luiz 9 312 9 -
3 Bremer 8 636 - -
51 Mbangula 8 329 12 1
11 Nico Gonzalez 6 307 1 1
1 Perin 5 390 12 -2
40 Rouhi 3 88 14 -
17 Adzic 2 40 9 -
36 Anghelè 1 5 1 -
23 Pinsoglio 0 - 16 -
41 Gil Puche 0 - 2 -
38 Daffara 0 - 1 -
18 Arthur 0 - - -
39 Barbieri 0 - - -
46 Comenencia 0 - - -
44 Gonzalez 0 - - -
48 Hasa 0 - - -
14 Milik 0 - - -
20 Miretti 0 - - -
43 Muharemovic 0 - - -
41 Nicolussi 0 - - -
- Pogba 0 - - -
49 Sekulov 0 - - -
18 Soulé 0 - - -
33 Tiago Djalò 0 - - -
Contributo reparti in fase realizzativa
Difesa 3 - Centrocampo 7 - Attacco 16
Altre statistiche
Giocatori utilizzati 24 (almeno 1 pres.)
Giocatori in gol 9 (37,50%)
Rigori segnati 4 - Sbagliati 0 - Parati 1
Ammonizioni 29 (15 giocatori)
Espulsioni 3 (3 giocatori)
Tutte le statistiche
La Juventus dal 1900 ad oggi
Gare ufficiali   Serie A
4.579 Giocate 3.088
2.508 (54,77%) Vittorie 1.699 (55,02%)
1.172 (25,60%) Pareggi 836 (27,07%)
899 (19,63%) Sconfitte 553 (17,91%)
8.194 Fatti 5.378
4.459 Subiti 2.910
C. Europee   Era 3 pti (uff.)
512 Giocate 1.557
281 (54,88%) Vittorie 927 (59,54%)
113 (22,07%) Pareggi 369 (23,70%)
118 (23,05%) Sconfitte 261 (16,76%)
871 Fatti 2.737
472 Subiti 1.378
Tutti i numeri della Juventus
Top 10 - All Time (gare ufficiali)
Presenze Gol fatti
705 Del Piero 290 Del Piero
685 Buffon 179 Boniperti G.
561 Chiellini 178 Bettega R.
552 Scirea 171 Trezeguet
528 Furino 167 Sivori
502 Bonucci 158 Borel F.
482 Bettega R. 130 Anastasi
476 Zoff 124 Hansen J.
459 Boniperti G. 115 Baggio R.
450 Salvadore 115 Dybala
Classifiche complete
Top 10 - Rosa attuale (gare ufficiali)
Presenze Gol fatti
207 Danilo 50 Vlahovic
146 Locatelli M. 17 Milik
146 McKennie 15 McKennie
117 Vlahovic 9 Danilo
91 Bremer 8 Bremer
76 Gatti F. 8 Yildiz
75 Milik 6 Gatti F.
63 Arthur 5 Weah
59 Fagioli 4 Cambiaso
55 Cambiaso 4 Locatelli M.
Classifiche complete
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Pubblicato il 19.05.2005

La Corea

di Bidescu
Giovedì 7 luglio 1966 la Nazionale Italiana atterra a Newcastle, proveniente da Copenaghen dove ha battuto per 4 a 0 una rappresentativa cittadina giocando male, e l’allenatore Edmondo Fabbri, detto “Mondino” avverte i giornalisti: «Da oggi entriamo in clima di guerra». «Guerra sportiva», aggiunge fiutando l’esagerazione, ma non basta. La frittata è fatta, l’antipasto del terribile Mondiale inglese del 1966 è servito.
La Nazionale ha alle spalle una serie di amichevoli vinte a mani basse: partite facili, d’accordo, ma in passato anche i “collaudi” più accomodanti avevano procurato delusioni e fischi, dunque, le ragioni del pessimo rapporto tra Fabbri e la stampa sono altre. Fabbri è un tecnico stimato, ma non particolarmente prestigioso. La sua massima referenza è di aver portato il Mantova dalla Serie D alla A (avendo in segreteria un giovanotto di belle speranze, Italo Allodi); quando nel maggio del 1962 l’Inter lo prenota in caso di mancato ritorno di Herrera dalla trasferta al Mondiale cileno con la Nazionale spagnola. Herrera torna e per Fabbri sfuma il sogno nerazzurro; ha già un contratto con il Verona, quando il presidente federale Pasquale gli fa una proposta alla quale è impossibile rinunciare: «se la sentirebbe di guidare la Nazionale ???»
È fresca la figuraccia di Santiago e Pasquale vara la riforma della gestione azzurra. Niente oriundi, basta con le improvvisazioni, mai più tecnici a mezzo servizio con le società. Il Commissario unico deve essere un dipendente federale a tempo pieno, con sicurezza di contratto lungo e stipendio al livello di un club. La candidatura Fabbri è approvata, con entusiasmo, anche da Aldo Bardelli, grande firma livornese trapiantata a Bologna, ex tecnico dello staff azzurro ai Mondiali del 1950 in Brasile, amico e consigliere personale del presidente della Federcalcio.
Fabbri è nato a Castelbolognese e vive a Bologna come Pasquale e Bardelli. Gianni Brera punzecchia il trio chiamandolo il “Club del Tortellino”; il tecnico azzurro, a prescindere da colpe e meriti, si trova sotto il fuoco incrociato della battaglia tattico editoriale che infuria in quegli anni. Da una parte c’è il fronte “difensivista” di Brera de “La Gazzetta dello Sport” e dell’influentissimo “Il Guerin Sportivo”, dall’altra gli “offensivisti” del gruppo Palumbo-Ghirelli, cioè “Corriere della Sera” e “Corriere dello Sport”, Pasquale non si compromette mai, non prendendo alcuna posizione.
Fabbri naturalmente sta dalla parte opposta a quella di Herrera, convertitosi ad un “difensivismo” che sta portando l’Inter sul tetto del mondo. I “breriani” vorrebbero che l’allenatore trasferisse questa tattica in Nazionale. Fabbri, invece. afferma che sarebbe assurdo tentare il gioco dell’Inter senza poter avere né la regia dello spagnolo Suarez, né la velocità in contropiede del brasiliano Jair. La critica “offensivista” lo appoggia e sogna i trionfi di una Nazionale ottenuta dalla fusione di Milan e Bologna, basata su “stilisti” come Rivera, Bulgarelli e Fogli. Fabbri cerca di calmare le acque con piccole concessioni, qualche polemica e finti esperimenti per tre anni: fino all’aprile del 1965, quando l’allarmante 0 a 0 di Varsavia contro la Polonia impone la decisione definitiva, fino ad allora rinviata: od il gioco “offensivista” con il blocco misto milanisti-bolognesi, od il gioco “all’italiana” con il blocco interista quasi al completo. Rivera intuisce che “Mondino” non ha il coraggio di scegliere, ed esce con una clamorosa intervista, in cui dice che, con Picchi schierato nel ruolo di libero, la Nazionale gioca in dieci.
Si scatena l’inferno, Picchi non ci sta e risponde per le rime, Fabbri decide, allora, di non convocare più il capitano dell’Inter, preferendo Janich, libero del Bologna. Anche Janich è bravo, intendiamoci, e lo è pure Sandro Salvadore che si alternerà con lui, ma non si tratta di valutare il singolo, ma la sua efficacia nel complesso: non a caso, infatti, Facchetti sarà una delle più grandi delusioni del mondiale. Stesso discorso per Mariolino Corso: il mancino attraversa un periodo di forma a dir poco straordinario, è il vero cervello dell’Inter, fa girare la squadra come un orologio, ma Fabbri dice che Corso nell’Inter non conta niente, ritiene che giochi bene solo per merito di Suarez e non lo convoca; al suo posto andrà al mondiale Ezio Pascutti, del Bologna. Gli interisti titolari azzurri, si stringono attorno a Mazzola e Facchetti, e si improvvisano fini diplomatici per non lasciarsi trascinare in polemiche contro il clan dei milanisti e dei bolognesi. Rivera viene battezzato “abatino”, nel senso di eminenza precoce, fragile ed intrigante; averlo titolare in Nazionale è quasi una sciagura per i “difensivisti”, i quali rinfacciano a Fabbri di aver ottenuto dei risultati non eclatanti: mancata qualificazione all’Europeo 1964, faticosa quella strappata al Mondiale inglese e brutte partite contro squadre impegnative.
A Durham, sede del ritiro azzurro, le telecamere della RAI non possono entrare, niente interviste ai giocatori: il divieto lo ha voluto Pasquale per punire il Canale Nazionale, reo di aver trasmesso un reportage “moralistico” sulle follie del calciomercato. Si ironizza sul “policeman” inglese chiamato a fare da sentinella al ritiro degli italiani, mentre non c’è nessuna guardia al ritiro dei sovietici, posto accanto a quello italiano; nessuno osserva che, al contrario di quella dei nostri, la privacy dei calciatori sovietici non è assolutamente minacciata, perché i giornalisti arrivati dall’URSS sono appena sei (ed una è la moglie del portiere Lev Jashin) ed i tifosi zero. Scoppia il finimondo quando Rivera incrocia i giornalisti in visita al ritiro e, con una battuta infelice, suggerisce: «Portateli a vedere la sala da pranzo». Sandro Mazzola, si dimostra più politico, sentenziando: «Come livello tecnico, il calcio italiano è il primo od il secondo del mondo, forse soltanto il Brasile ci è superiore. Fabbri ??? È l’uomo che ci voleva».
Nel ritiro azzurro la disciplina è rigida, parla solo l’allenatore; quando è l’ora delle interviste, i giocatori vengono caricati su un pullman e portati lontano. Sconsigliato vedere la televisione, anche perché nessuno capisce l’inglese, e soprattutto il calcio. Per le serate sono stati portati dall’Italia una ventina di film, tutti western: «Niente partite» spiega Fabbri, «di calcio ne vediamo fin troppo». Il volenteroso impegno dello staff nelle pubbliche relazioni è vanificato dall’incapacità di gestire eventi ed emozioni, che si manifesta fin dalla sera del giorno 13 luglio, quando l’Italia debutta contro il Cile al “Roker Park Ground” di Sunderland.
Temendo un bis della rissa avvenuta quattro anni prima nel Mondiale cileno, il capo-delegazione Artemio Franchi diffida gli azzurri dal rispondere ad eventuali provocazioni: per fortuna, tutto andrà per il verso giusto, il “pugile” Lionel Sanchez è in campo con responsabilità di capitano. Vinciamo 2 a 0, ma alle interviste che si fanno per le televisioni a circuito chiuso con domande presentate per iscritto, Fabbri risponde in questo modo: «Sono soddisfatto del risultato, non del gioco; non ci siamo volontariamente chiusi dopo il primo goal, siamo soltanto calati di tono, credo per la tensione della rivincita col Cile. Certo, se giochiamo così andiamo subito fuori».
Giocatori arrabbiati per l’inatteso rimprovero, giornalisti sbalorditi, dirigenti esterrefatti. Pasquale entra negli spogliatoi e trova un mortorio: il più cupo é Fabbri. «Su, ragazzi» esorta il presidente federale. «Non dobbiamo mica piangere una batosta. Abbiamo vinto, andiamo a festeggiare».
Pasquale ha saputo di certi mugugni, alfiere il solito “sindacalista” Salvadore, ed annuncia il raddoppio della diaria giornaliera: da 10 a 20 dollari, I giocatori si sentono presi in giro e la notizia non modifica l’umore sempre più depresso dell’ambiente. Quest’aria da funerale dopo la prima vittoria è il segno di una squadra spenta, ancora prima di cominciare a giocare. Sul banco degli imputati viene messo Gianni Rivera, rivelatosi atleticamente non all’altezza contro il Cile e Fabbri lo esclude dalla seconda partita contro l’URSS, in programma tre giorni dopo sullo stesso campo. Ma le cose vanno ancora peggio: al brutto gioco si aggiunge la sconfitta. Facchetti s’addormenta e Cislenko infila Albertosi: potremmo invocare un rigore negatoci dall’arbitro, il tedesco Alfred Kreitlein, ma non serve a niente. Fabbri, stravolto, mormora rassegnato: «Quando un avversario è forte, non c’è che da complimentarsi. Rivera in tribuna ??? Non era partita per lui. Quale errore riconosco ??? Forse avrei dovuto mettere Guarneri secondo stopper, invece di Leoncini, per marcare un certo avversario».
Dopo anni “Mondino” non è più dello stesso avviso: «Macchè, chiunque avessi schierato, non sarebbe cambiato nulla. Tutta la squadra non era in condizione di stare in piedi. Se anche Bertini e Riva (portati in Inghilterra come “turisti” per fare esperienza) fossero scesi in campo sarebbero stati in difficoltà anche loro. E poi si aggiunge il rigore su Mazzola non concessoci». Facchetti conferma: «Contro i sovietici mi tremavano le gambe, non riuscivo a stare in piedi».
Il presidente Pasquale improvvisamente parte, atteso a Roma da un’importantissima riunione del Coni. Il capo-delegazione Franchi sta rinchiuso in albergo a Sunderland. Burgnich lamenta che «nessun dirigente è venuto a sostenere la squadra, a dirci che cosa possiamo economicamente aspettarci da questo Mondiale». Intanto il C.T. sovietico Morozov avverte: «Attenti ai coreani, con quel continuo movimento ci hanno creato seri problemi. Se non piazzate subito qualche goals, rischiate di avere brutte sorprese». Il selezionatore coreano, Myung Re Hyung, con incrollabile fermezza ripete ciò che va dicendo fin dal primo giorno: «Siamo sicuri di battere l’Italia e di qualificarci».
“Mondino” è in crisi perché contro l’Unione Sovietica si è fatto male ad un ginocchio il suo pupillo Giacomino Bulgarelli, mezzala e cervello del Bologna. Per due giorni l’allenatore si aggira nel ritiro come Amleto, nascondendo la formazione. Nessun allenatore, con un briciolo di esperienza di un torneo intenso come un mondiale, avrebbe dei dubbi. Considerata la scarsa statura tecnica dell’avversario ed i possibili impegni futuri, chiunque rinuncerebbe subito a Bulgarelli, schierando un altro giocatore. In questo modo ne avrebbero vantaggio tutti: gli stessi due interessati ed anche i compagni di squadra che non verrebbero coinvolti in un problema che non ha ragione di esistere.
Questa della formazione a sorpresa è un’ossessione del tecnico azzurro, sempre più sorpreso dalla brutta piega della spedizione. Nell’ultima conferenza stampa prima della partita fatale, dice che non annuncerà la formazione. I giornalisti decidono, per protesta, di inventarsene una e di pubblicarla uguale su tutti i giornali. Pensano, però, di farla conoscere al C.T. ma, quando l’incaricato si avvicina alla sua cattedra col foglietto, Fabbri lo aggredisce, lo insulta, strepitando che non accetta suggerimenti. Il giornalista sale sulla cattedra e lo prende per il collo, i due vengono divisi a fatica.
Nessuno lo sa, ma i coreani hanno già fatto un brutto scherzo alle coronarie di “Mondino”: quello del pareggio in extremis col Cile. Anche questo è un episodio sconosciuto, che ricorda Fabbri dopo tanti anni. «Avevo già visto i coreani nella prima partita persa con i sovietici, ma per scrupolo andai a rivederli nella seconda contro il Cile. Mi portò in macchina un amico bolognese e, per non fargli fare tardi, a pochi minuti dalla fine gli dissi che potevamo andarcene. Il Cile era in vantaggio e controllava con sicurezza la situazione. Eravamo virtualmente qualificati per i quarti, anche nell’impensabile ipotesi di non conquistare neanche un punto nelle imminenti partite con URSS e Corea. Con quella vittoria, infatti, i cileni ci raggiungevano a quota due punti, ma con una peggiore differenza-goal e la prospettiva di sconfitta certa contro i fortissimi sovietici, nell’ultima partita. Feci il viaggio di ritorno tutto contento ed, arrivato a Durham, dissi ai ragazzi: meno male, ce l’abbiamo fatta, potremo incontrare russi e coreani senza troppe angosce, perché il Cile ha vinto. Vinto ???, mi fanno sbalorditi, guardi, mister, che si sbaglia: i coreani hanno pareggiato all’ultimo minuto, forse lei è uscito prima». Svela anche che «Valcareggi non osservò mai i coreani e non parlò mai, almeno con me, di “Ridolini”, è una leggenda metropolitana. Valcareggi osservò soltanto il Portogallo, nostro eventuale avversario nei quarti, e fu una missione inutile, visto che fummo eliminati».
L’atmosfera nel ritiro di Durham s’incupisce sempre più, con l’avvicinarsi della partita. Fabbri mette le mani avanti: «Nel gironcino siamo stati gli ultimi a cominciare, il 13 luglio, e siamo i primi a finire, il 19 luglio. Tre partite in sei giorni sono pesanti».
I coreani non immaginano nemmeno lontanamente di farci così tanta paura. La loro partecipazione al Mondiale è poco più che “folkloristica”; sono da mesi in giro per l’Europa, hanno fatto un lungo stage in Germania Est. Riposano malissimo, perché li hanno sistemati nell’albergo dell’aeroporto di Darlington, con aerei che atterrano e decollano a tutte le ore, non possono esporre bandiere e non hanno rappresentanza diplomatica, perché il Regno Unito non riconosce la Repubblica Popolare di Corea, brevemente detta Corea del Nord. In campo corrono tanto, molto, sempre, avventandosi in due o tre sull’avversario in possesso di palla. Fanno, insomma, quello che un giorno si chiamerà pressing, di cui i nostri allenatori, e men che meno Fabbri, non hanno la più pallida idea di cosa sia. Consumano molto “ginseng”, ma non è considerato doping.
Nella pungente e ventosa sera del 19 luglio 1966, non ci sono più di ventimila persone sulle tribune dell’”Ayresome Park” di Middlesbrough. Qualche migliaio i tifosi italiani, gli altri sono tutti inglesi e fanno, ovviamente, il tifo per gli outsider coreani. In tribuna d’onore, il capo-delegazione Franchi è l’unica “autorità” del calcio italiano. Un solo presidente di club: Nello Baglini della Fiorentina. Giuseppe Pasquale ascolta la radiocronaca in macchina, sull’autostrada del Sole, mentre viaggia da Bologna a Roma. In campo ritorna la formazione “del bel gioco”, con Rivera, Fogli ed il dolorante Bulgarelli, l’Italia indossa una maglia color carta da zucchero bigio ed i pantaloncini d’un malinconico nero.
Giocando a uomo, gli azzurri non hanno punti di riferimento contro i piccoli coreani che fanno un pressing velocissimo. Ciò nonostante, Perani in avvio tre clamorose palle-goals. Cede il ginocchio di Bulgarelli, temerariamente arrischiato, e l’Italia rimane in dieci, allora non erano ancora ammesse le sostituzioni. Rivera perde una palla a centrocampo e Pak Doo Ik, dentista e caporale di leva nell’armata di Pyongyang, infila con un preciso diagonale Albertosi: l’Italia va in tilt. Il secondo tempo, scandito dalla voce sempre più funebre di Nicolò Carosio, è una lenta, inesorabile marcia verso il patibolo, lo strenuo impegno non basta per raggiungere un pur mortificante pareggio: siamo fuori dal Mondiale !!!
Qualche tifoso italiano piange sulle gradinate, qualcuno scaglia la tromba in campo, qualche altro viene bloccato dai poliziotti mentre scavalca le transenne per avventarsi sui giocatori italiani, i ragazzini inglesi vanno in tribuna stampa a sfottere i giornalisti italiani. In un bar di Milano Marittima, sulla riviera romagnola, la signora Fabbri deve scappare in lacrime: la conoscono tutti, ed i villeggianti, dopo la partita, cominciano ad inveire contro suo marito insultandolo.
Insulti volano anche nella sala stampa dell’”Ayresome Park”,
che diventa una bolgia. Fabbri fa sapere che non parlerà, farà una relazione scritta alla Federcalcio. Parla, invece, Franchi: «Quando sono arrivato a Durham, alla vigilia della partita col Cile, ho trovato un ambiente tutto diverso da quello che avevo lasciato a Coverciano. Ho trovato giocatori che avevano paura, una squadra emozionata e tesa. Ho cercato di capirne il motivo, ma nessuno ha saputo dare una spiegazione convincente».
L’Inghilterra impazzisce per i coreani, proiettati verso un’avventura inattesa ed affascinante; addirittura tremila cittadini di Middlesbrough si mettono al seguito della nazionale della Corea per la disputa del quarto di finale previsto al “Goodison Park” di Liverpool, lo stadio dell’Everton. Qui, contro un’altra grande del calcio d’epoca, il Portogallo di Eusebio, i coreani sembrano rivelano una forza, una perizia ed un’energia che loro stessi ignoravano di possedere: ad un certo punto della partita, la Corea conduce addirittura per 3 a 0, tutto il mondo è stupito. Ma a quel punto entra in scena Eusebio. Al momento è lui il miglior giocatore del pianeta, alla pari con “O’ rey” Pelè: prende letteralmente la partita nelle sue mani e decide di restituire al mondo calcistico la sua logica naturale. Uno dopo l’altro ne infila quattro nella porta coreana, mentre gli asiatici, in confusione, invece che ritrarsi a ordinare le idee, continuano ad attaccare, in preda di un’incontrollabile frenesia. Alla fine i portoghesi segnano anche il quinto goal, gli equilibri si ristabiliscono, i coreani vengono applauditi, ma per loro sono pronti i biglietti per il volo di ritorno.
La rappresentativa della Corea del Nord venne accolta in patria come un manipolo di eroi. A tutti furono concessi onori e riconoscimenti materiali, case, pensioni, buoni impieghi nel campo dello sport, era il premio per aver portato a compimento una missione importante, ben oltre la dimensione agonistica: presentare al mondo il volto umano e civile di una dittatura permanentemente alla berlina.
Ma torniamo agli azzurri. All’una di notte, nel ritiro di Durham, nessuno ancora dorme, si preparano i bagagli. Circolano voci del brindisi di un gruppo di azzurri, lieti del rientro anticipato a casa: «Non è vero» smentisce Fabbri, «quella notte a Durham nessuno ha brindato». Ma nella relazione al consiglio federale, il capo-delegazione confermerà «il brindisi a base di whisky, fatto non per festeggiare, ma per distendere i nervi e prendere sonno, visto che nessuno riusciva a dormire». Franchi viene chiamato tre volte al telefono: è Pasquale in linea da Roma. Gli dice che Fabbri è distrutto e non vuole presentarsi in conferenza stampa, prevista per il giorno dopo, Pasquale risponde che deve imporglielo come ordine di servizio. All’alba Franchi ottiene il sì di “Mondino”, arresosi per sonno più che per convinzione.
La mattina di mercoledì 20 luglio c’è l’ammaina-bandiera a Durham, i giocatori hanno la consegna del silenzio. Franchi e Fabbri vanno al centro stampa di Sunderland per la conferenza, alla quale partecipano centinaia di giornalisti d’ogni Paese. Franchi ripete le solite frasi di circostanza, Fabbri è un pallido fantasma che a stento riesce a bisbigliare qualcosa: «Potete bene immaginare che non sono in grado di fare una conferenza stampa. Più che amareggiato, sono addolorato. Le responsabilità sono soltanto mie». Fuori, gli azzurri infrangono la consegna del silenzio. Curiosamente, Gianni Rivera riprende il misterioso tema sfiorato da Facchetti dopo Italia-URSS: «Non corriamo, non rendiamo, perché ???». Salvadore ne ha le scatole piene: «Ci multano se parliamo ??? Ma non diciamo sciocchezze, siamo da un mese e mezzo a disposizione della Federcalcio, abbiamo perso i premi dei nostri club per le amichevoli post-campionato, in cambio della modesta diaria federale ed avrebbero pure il coraggio di multarci ???».
Il problema più complicato è quello del rientro; si dice che non ci sarebbero aerei per l’Italia con quaranta posti liberi, ma è una bugia, in questi casi federazioni ed organizzazioni prenotano i rientri ad ogni scadenza eliminatoria. La verità è che agli azzurri è stato consigliato un rientro “speciale”, per questioni d’ordine pubblico. Fabbri tira un sospiro di sollievo e propone di rientrare divisi, ogni gruppetto verso la propria destinazione finale, ma Franchi si oppone: il gruppo ritorna tutto insieme.
Alle 15:00 gli azzurri partono in treno per Londra, dormiranno all’albergo dell’aeroporto ed il giorno dopo prenderanno il volo per tornare in patria. La stampa inglese ci sfotte: «Ora i club italiani ingaggeranno calciatori coreani».
Giovedì 21 luglio, la squadra è a Londra. Al mattino partono con permesso speciale Bulgarelli, infortunato, per Milano, Juliano e Rizzo, per Roma. Gli altri, consegnati in albergo, devono andare nel pomeriggio al party di commiato che la Federazione Mondiale ha organizzato, a “Lancaster House”, per gli eliminati. Si vorrebbe declinare l’invito, ma Franchi obbliga tutti a partecipare. Il volo per l’Italia è fissato per le 21:00, ma verrà fatto partire molto più tardi, destinazione ignota: Milano, Roma o Genova, si vogliono evitare cattive accoglienze.
Gli azzurri assonnati e stanchi atterrano a Genova alle 3:40 della notte fra il 21 e il 22 luglio. Dagli oblò si vedono i tifosi assiepati intorno alla pista. «Ci sono, ci sono» gridano i giocatori. Viene predisposto un piano di uscita: Marino Perani deve comparire per primo sulla scaletta anteriore e subire i fischi e le contestazioni, mentre gli altri scendono da quella posteriore, rifugiandosi subito nel bus parcheggiato accanto. Il bus non c’è, due pantere della polizia non bastano a trattenere l’orda di fotografi, operatori televisivi e tifosi. Giocatori, tecnici, dirigenti e giornalisti, corrono tutti verso l’aerostazione sotto un lancio di pomodori, cetrioli, uova. La gente urla: «bidoni, bidoni, ci avete disonorati !!!»
Alle 4:35 Fabbri, pallidissimo, viene infilato nell’auto di un suo parente ed accompagnato sotto scorta fuori dall’aeroporto. Il grosso del gruppo, giornalisti compresi, sale su un pullman diretto a Milano e scortato dalla polizia. Lo seguono auto da cui sporgono mani che fanno le corna e facce di scalmanati che insultano: non sono auto di tifosi genovesi, hanno targhe di Milano, Torino, Piacenza. Un anonimo giornalista genovese rivela: «Quella notte c’ero, ma la spedizione fu assolutamente spontanea; eravamo stati informati dell’arrivo a tarda sera dalla fidanzata di un amico che lavorava all’aeroporto. Quanto ai pomodori, provenivano dalla cucina di un amico ristoratore. Le macchine con targa di altre province, poi, appartenevano a villeggianti».
Ma la rivelazione non dissipa tutti i dubbi su questo ennesimo mistero “coreano”. La prova è che alle destinazioni opzionali di Milano e Roma non è andato nessun tifoso: sono andati tutti a Genova a colpo sicuro. La mobilitazione in pochissime ore di fotografi, troupes televisive e molte centinaia di tifosi, con decine di auto da diverse città del nord e pesante munizionamento di ortaggi, per intercettare un aereo in partenza a mezzanotte da Londra con destinazione opzionale su tre aeroporti, non può essere frutto di iniziative spontanee. C’è una spia che ha avvertito, c’è una regia che ha coordinato attori, scena e copione. Non sembri esagerato il sospetto, l’Italia è a soqquadro per la disfatta, al punto che il presidente della repubblica Saragat deve improvvisarsi pompiere ed inviare un telegramma a Sandro Salvadore, capitano della Nazionale, per «ridimensionare una sconfitta al suo mero valore sportivo, che certamente non riguarda l’onore della Nazione».
I reduci di Middlesbrough spariscono nel nulla dei più inaccessibili ritiri e delle più sperdute spiagge, Fabbri si barrica in casa nella torrida Bologna: attende una convocazione dal presidente Pasquale, per un primo colloquio di cui non si saprà mai nulla. Poi, parte con la moglie per il ritiro di Camaldoli, prima di isolarsi nel segretissimo romitaggio aretino,
Anni dopo, Fabbri rivive quei momenti che hanno segnato la sua vita con un indelebile marchio di amarezza, delusione, solitudine, spavento: «Non auguro a nessuno di provare quello che ho provato io, dal 19 luglio al 22 dicembre del 1966. Nel giro di pochi giorni fui sbalzato dalla panchina del Milan, che Luigi Carraro mi stava offrendo e che per me voleva dire la resurrezione, ad una squalifica di sei mesi. Carraro mi aveva invitato presso un notaio di Milano per firmare il contratto: appuntamento segretissimo, neanche mia moglie sapeva niente, quando arrivò una telefonata del dottor Giuseppe Pasquale, il presidente della Federcalcio. Mi disse che era meglio aspettare qualche giorno, per il 22 era convocato il Consiglio federale: avrebbe esaminato la relazione della commissione speciale istituita per giudicare il mio operato. Era una commissione composta da giudici e consulenti della Federcalcio, cioè dalla mia controparte. Luigi Carraro fu pregato di parlare con Pasquale dal telefono di un’altra stanza e, quando tornò, mi disse che non si poteva firmare, che bisognava aspettare. Quattro giorni dopo, il Consiglio federale mi squalificò e, praticamente, fu la fine della mia carriera di allenatore».
Mondiali del 2002: l’altra Corea, quella del Sud, non solo organizza i mondiali, ma ha addirittura l’ardire di pensare di vincerli, cercando in tutti modi di riuscirci. Gioca un calcio discreto ed i risultati ottenuti negli ultimi anni non ne fanno certo una sorpresa. La partita finisce come sappiamo, si perde di nuovo. Stavolta, però, non succede niente, ci si limita a lapidare l’arbitro Moreno, non si parla di vergogna, di pagina nera, non si parla neppure più di “Ridolini”, perché i coreani hanno bicipiti da far impallidire i nostri. Segno che le cose sono cambiate, i valori livellati, le sorprese mitigate e le vergogne nazionali più improbabili in questi tempi di “pay-tv” e mercenari. Un’emozione, quella di allora, tutta in negativo che, vista da oggi, sembra ingenua ed eccessiva, eppure ci coinvolse tutti, come una nazione di peccatori, in quel mesto luglio inglese del 1966, nel giorno in cui la Nazionale indossò la sua più brutta divisa di sempre.



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