Tutte le partite ufficiali della stagione |
G. |
Pti |
Vit |
Par |
Sco |
Fat |
Sub |
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9 |
16 |
4 |
4 |
1 |
12 |
5 |
C |
10 |
18 |
4 |
6 |
0 |
17 |
8 |
F |
0 |
0 |
0 |
0 |
0 |
0 |
0 |
N |
19 |
34 |
8 |
10 |
1 |
29 |
13 |
T |
La Juventus dal 1900 ad oggi |
Gare ufficiali |
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Serie A |
4.582 |
Giocate |
3.090 |
2.508 (54,74%) |
Vittorie |
1.699 (54,98%) |
1.175 (25,64%) |
Pareggi |
838 (27,12%) |
899 (19,62%) |
Sconfitte |
553 (17,90%) |
8.195 |
Fatti |
5.379 |
4.460 |
Subiti |
2.911 |
C. Europee |
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Era 3 pti (uff.) |
513 |
Giocate |
1.560 |
281 (54,78%) |
Vittorie |
927 (59,42%) |
114 (22,22%) |
Pareggi |
372 (23,85%) |
118 (23,00%) |
Sconfitte |
261 (16,73%) |
871 |
Fatti |
2.738 |
472 |
Subiti |
1.379 |
Tutti i numeri della Juventus |
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Pubblicato il 18.10.2020
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19 ottobre 1940: muore Umberto Caligaris
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di Stefano Bianchi
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Ottanta anni fa moriva Umberto Caligaris, da taluno chiamato”Caliga”, per gli amici, “Berto”. Letto oggi, specie dai più giovani, questo nome può dire poco, ma per noi vecchietti innamorati di Juventus è un nome che dice molto. Un nome, tra noi bambini che negli anni di Sivori e Charles ci avvicinavamo all’amore per il calcio e per la Juventus, un nome che faceva parte di una specie di mantra: “Combi, Rosetta, Caligaris”. Combi, portiere, “Viri” Rosetta, terzino destro, “Berto” Caligaris, terzino sinistro: un trio universalmente riconosciuto nella letteratura calcistica come il miglior trio difensivo mai visto fino allora e per molti anni a venire sui campi di calcio. Un trio che, vincendo ben cinque scudetti consecutivi, dal campionato del 1930/31 a quello del 1934/35 (in effetti, Combi si era ritirato un anno prima, sostituito da Valinasso), con Monti, Orsi, Cesarini, Borel II e Ferrari, tra gli altri, contribuì a far nascere il mito della Juventus “Fidanzata d’Italia”. Non solo bianconero per quei tre Assi, ma anche tanto azzurro: in quegli anni Caligaris, con gli altri due e moltissimi altri giocatori bianconeri, conquistò con il bronzo alle Olimpiadi di Amsterdam, due Coppe Internazionali (antenata del campionato europeo) e il Campionato Mondiale del 1934.
Caligaris è nato a Casale Monferrato il 26 luglio 1901, e dopo gli inizi in squadre giovanili (Valentino e Sparta F.C.), tra il 1918 e l’anno seguente vince i campionati casalesi dei cento piani e del salto in lungo, si diploma ragioniere e passa ai nerostellati del FBC Casale, la prestigiosa squadra di calcio della sua città, diventandone capitano due anni dopo. Non se ne ricorda quasi nessuno, ma l’FBC Casale è storia del calcio, parte integrante di quel “Quadrilatero” (assieme a Vercelli, Novara e Alessandria), che molto ha significato e vinto negli anni eroici del pallone. Caligaris è già titolare in Nazionale, quando è chiamato a Torino da Edoardo Agnelli e dal fidato Barone Mazzonis che stanno allestendo la Juventus ed è tra i protagonisti assoluti nella vittoria di quei mitici cinque scudetti consecutivi, tre le stagioni 1930/31 e 1934/35. Uno strano record del nostro campione è che non ha mai marcato una rete nelle centosettantotto presenze collezionate in gare ufficiali. Altro record le cinquantanove presenze in azzurra, primato che resiste per ben quarant’anni. Caligaris era un ”terzino sinistro catapulta”, uno “spazzatore inesorabile, una valanga che precipita e disorienta”, come scrivevano i giornali del tempo: “davanti a Rosetta evoluiva l’ardente Caligaris, potentissimo battitore volante, celebre per la spaccata (o forbice), così impulsivo che una volta ruppe il cranio a Combi, suo povero e sfortunato portiere”. Giocava col fazzoletto annodato sulla fronte, forse a simboleggiare la fatica, più probabilmente per proteggere la fronte dalle ruvide cuciture dei palloni di allora. Nonostante l’altezza di poco più di uno e settanta, rappresentò il calcio di potenza, integrandosi alla perfezione con il calcio ragionato di Rosetta. E’ una “massa di muscoli dotati d tecnica sopraffina” e “rifiuta gli schemi, non perché sia un anarchico ma semplicemente perché non li concepisce, il calcio per lui è un gioco tanto entusiasmante quanto semplice che si gioca con la palla. Compito fondamentale è quello di sradicare più palloni possibili dai piedi degli avversari, insomma lottare, correre e poi ancora lottare”. Dotato di uno scatto bruciante, era dappertutto, guidato dalla sua generosità, un vero mastino nei riguardi degli avversari, cui non lasciava respiro: recuperato il pallone, spesso si esibiva in lunghi e potenti rilanci a innescare gli avanti che trovavano una difesa avversaria impreparata.
Un addio al grande calcio quasi sincrono, quello di Combi, Rosetta e Caligaris, col nostro “Berto” che dal 1935/36 va al Brescia, per due anni allenatore-giocatore, poi siede sulle panchine di Lucchese, Modena e Juventus. Torna in una Juventus di transizione che sta completando lo svecchiamento, e si vedono già bei giovanotti che, dopo la guerra, riporteranno in auge i nostri colori. Il nostro “Berto”, però, non riesce a terminare il suo secondo anno sulla panchina bianconera. Il diciannove ottobre del 1940 scende in campo in una gara tra vecchie glorie bianconere, ma dopo dieci minuti, rincorrendo un pallone, stramazza al suolo. E’ subito chiaro che il problema è grave, infatti, muore in ospedale quarantacinque minuti dopo: la rottura dell’aneurisma cerebrale gli è fatale. Per ricordare l’uomo e il tipo di calcio che aveva giocato, Pozzo, giornalista e Commissario Tecnico della Nazionale, scrive di lui il giorno seguente un articolo intitolato “Un gladiatore”. Allo Stadium, una delle cinquanta Stelle della “Walk of Fame” è sua.
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