Tutte le partite ufficiali della stagione |
G. |
Pti |
Vit |
Par |
Sco |
Fat |
Sub |
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9 |
16 |
4 |
4 |
1 |
12 |
5 |
C |
7 |
15 |
4 |
3 |
0 |
16 |
7 |
F |
0 |
0 |
0 |
0 |
0 |
0 |
0 |
N |
16 |
31 |
8 |
7 |
1 |
28 |
12 |
T |
La Juventus dal 1900 ad oggi |
Gare ufficiali |
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Serie A |
4.579 |
Giocate |
3.088 |
2.508 (54,77%) |
Vittorie |
1.699 (55,02%) |
1.172 (25,60%) |
Pareggi |
836 (27,07%) |
899 (19,63%) |
Sconfitte |
553 (17,91%) |
8.194 |
Fatti |
5.378 |
4.459 |
Subiti |
2.910 |
C. Europee |
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Era 3 pti (uff.) |
512 |
Giocate |
1.557 |
281 (54,88%) |
Vittorie |
927 (59,54%) |
113 (22,07%) |
Pareggi |
369 (23,70%) |
118 (23,05%) |
Sconfitte |
261 (16,76%) |
871 |
Fatti |
2.737 |
472 |
Subiti |
1.378 |
Tutti i numeri della Juventus |
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Pubblicato il 08.12.2006
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Il calcio in manette
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di Bidescu
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Prima dell’estate del 2006, il calcio-scommesse che viene ricordato come lo scandalo più clamoroso e rovinoso dello sport italiano, per nomi di giocatori, dirigenti, club implicati e per gli effetti devastanti sulla credibilità del nostro calcio, è quello del 1980; ci furono ripercussioni che sfociarono nel fiasco azzurro agli Europei di quell’anno e nel pauroso ridimensionamento delle presenze negli stadi nella stagione successiva, poi fortunatamente recuperato con la riapertura delle frontiere. Era parecchio tempo che, nell’ambiente degli scommettitori, si parlava di grosse somme puntate su partite, che poi prendevano la piega voluta, attraverso andamenti alquanto sospetti. Nell’ambiente, nessuno ignorava come da tempo fosse fiorente ed in notevole sviluppo, il movimento delle scommesse clandestine, con centri di raccolta e pagamenti in contanti; erano fornite in anticipo le quotazioni dei risultati di ogni partita, a somiglianza di quanto avveniva per le corse dei cavalli. Un sistema che, perfettamente legalizzato, era d’uso corrente in Gran Bretagna, dove chiunque poteva, alla luce del sole, puntare la sua sterlina sulla vittoria della squadra del cuore. In Italia, invece, soltanto il Totocalcio rappresentava la scommessa legale; in realtà esso attraeva più il profano in cerca del colpo sensazionale che lo scommettitore abituale ed esperto, in quanto preferiva puntare su una sola partita o su un numero ristretto di partite collegate fra loro. Sin qui nessun danno particolare per il calcio, semmai per l’erario; la scommessa clandestina, infatti, non pagava tasse e, proprio per questo, risultava essere più remunerativa di quella ufficiale. Finché, nel giro, non entrarono gli addetti ai lavori; alcuni scommettitori, infatti, pensarono che sarebbero stati molto più garantiti se l’esito delle partite, sulle quali intendevano concentrare le loro puntate, fosse stato predeterminato da coloro che potevano effettivamente pilotarle: i calciatori ed i dirigenti. Nel gennaio del 1980, su alcuni quotidiani romani, uscirono le prime indiscrezioni, attirando l’attenzione di Corrado De Biase, capo dell’Ufficio Inchieste della Federazione. Caute indagini nelle redazioni interessate, consentirono di scoprire la fonte: un calciatore della Lazio, Maurizio Montesi, avvicinato da scommettitori di professione, era stato invitato a fare in modo che la sua squadra uscisse sconfitta dalla partita con il Milan. Il giocatore rifiutò, ma poi, dall’andamento della gara, si accorse che altri suoi compagni dovevano aver aderito. Gli organizzatori dei contatti con i calciatori, erano due: Alvaro Trinca, proprietario del ristorante “Le Lampare”, dove erano solito trovarsi i giocatori della Lazio, ed il commerciante romano di frutta all’ingrosso Massimo Cruciali. Travolti dal giro vorticoso da loro stessi messo in moto, si erano praticamente rovinati; i due corruttori si decisero a denunciare le loro trame ed i loro complici. Non si è mai potuto esattamente appurare quanta parte delle loro rivelazioni fosse autentica e quanto invece frutto di desiderio di rivalsa o di vendetta, fatto sta che la pubblicazione sul “Corriere dello Sport” della denuncia che i due avevano presentato alla magistratura ordinaria, piombò sul mondo del calcio con effetti devastanti, suscitando sdegnate reazioni e minacce di querele. L’Ufficio Inchieste della Federazione, in realtà, era riuscito a contattare i due accusatori prima che la denuncia fosse presentata; l’intento era di chiarire le reali dimensioni dell’affare ed il coinvolgimento dei tesserati. L’incontro, nella sede della Federazione, presenti De Biase e l’allora presidente federale, il compianto Artemio Franchi, fu tempestoso. Cruciani e Trinca sostenevano di essere stati truffati dai calciatori, che avevano preteso soldi per “addomesticare” certe partite e poi non avevano rispettato i patti; per mettere tutto a tacere, i due pretendevano di rientrare delle somme perdute. A sentir parlare di truffa, De Biase che, prima ancora di un inquirente sportivo era un magistrato, troncò subito il colloquio e sollecitò, anzi, la “strana coppia” a presentare denuncia senza indugio. Egli stesso trasmise i documenti di cui era venuto in possesso, ai magistrati romani. Prendiamo, dall’esposto, la parte relativa a Milan-Lazio, significativa dell’intricato sviluppo: «Per quanto riguarda Milan-Lazio del 6 gennaio 1980, i giocatori biancoazzurri Giordano, Wilson, Manfredonia e Cacciatori si accordarono con Enrico Albertosi del Milan affinché si verificasse la vittoria di quest’ultima squadra. Per quest’ultima partita, consegnai tre assegni da 15 milioni di Lire e due da 10 milioni di Lire a Giordano, Wilson, Manfredonia, Viola e Garlaschelli, affidandoli materialmente a Manfredonia. Ulteriore assegno di lire 10 milioni di Lire consegnai a Cacciatori, il quale provvide a incassarlo intestandolo a certo sig. Orazio Scala. Il Milan, da parte sua, contribuì alla “combine” con l’invio di lire 20 milioni in liquidi che mi portò a Roma, nel mio magazzino, il giocatore di tale squadra Giorgio Morini, due giorni dopo il rispettato esito dell’incontro. In conseguenza dei citati accordi, e in cambio del loro contributo, Wilson, Manfredonia, Giordano e Cacciatori mi chiesero di puntare per loro 20 milioni di Lire sulla sconfitta della Lazio. La vincita di 80 milioni, d’accordo con i quattro, anziché consegnargliela, avrei dovuto usarla per pagare i giocatori dell’Avellino (Cattaneo, Di Somma, Pellegrini), i quali avrebbero dovuto perdere contro la Lazio la settimana successiva. Io ed altri scommettitori, in base agli accordi di cui sopra, abbiamo scommesso per l’accoppiata costituita dai due risultati concordati, circa 200 milioni di Lire: cifra perduta per il mancato rispetto dell’impegno assunto dalla squadra leccese, la quale ha pareggiato 1 a 1». Milan-Lazio aveva rispettato il copione, chiudendosi 2 a 1 con due spettacolari goals di Chiodi per il Milan e goal biancoazzurri di Giordano, ad un minuto dalla fine, ma non fu sufficiente ad evitare lo scoppio dello scandalo. Furono coinvolti alcuni tra i più importanti giocatori del campionato, appartenenti alle squadre di Avellino, Bologna, Genoa, Juventus, Lazio, Milan, Napoli e Perugia. Il 13 marzo la magistratura ordinaria bloccava l’inchiesta della Federcalcio, che stava indagando, per tutelare il segreto istruttorio. Domenica 23 marzo 1980, venne “arrestato il calcio”; appena terminate le partite furono eseguiti, sotto i lampi dei flash, una serie di ordini di cattura nei confronti di giocatori. Finirono nel carcere romano di “Regina Coeli”: Pellegrini (Avellino), Girardi (Genoa), Cacciatori, Giordano, Manfredonia e Wilson (Lazio), Merlo (Lecce), Albertosi e Giorgio Morini (Milan), Magherini (Palermo), Casarsa, Della Martira e Zecchini (Perugia). Semplici ordini di comparizione invece per altri giocatori, tra cui i bomber Paolo Rossi e Savoldi, l’interno Dossena e l’ala Damiani. Tutto questo finì anche per evidenziare i difficili rapporti di convivenza tra magistratura ordinaria e giustizia sportiva; entrambi si occuparono degli stessi fatti, giungendo a conclusioni, in alcuni casi, opposte. È importante sottolineare che il processo penale richiede tempi tecnici che l’ordinamento sportivo non può consentirsi, se non al prezzo di paralizzare la sua intera attività. Nella stessa caldissima estate del 1980, i vari organi del giudizio sportivo arrivarono ad emanare le loro condanne, che furono numerose e severe. Nell’ambito della serie A, Lazio e Milan furono declassate all’ultimo posto in classifica e quindi retrocesse in serie B. Altre tre società, Bologna, Avellino e Perugia, furono sanzionate con cinque punti di penalizzazione, da scontarsi nella stagione successiva; in pratica, si allinearono al via del torneo 1980-81 partendo da “meno cinque” in classifica. Il presidente del Milan, Felice Colombo fu inibito definitivamente a ricoprire cariche calcistiche, mentre solo per un anno il presidente del Bologna, Tommaso Fabbretti, anch’egli reo di tentata corruzione. Durissime le pene comminate ai calciatori: sei anni a Stefano Pellegrini dell’Avellino; cinque a Massimo Cacciatori della Lazio e Mauro Della Martira del Perugia; quattro ad Enrico Albertosi del Milan; tre anni e sei mesi a Carlo Petrini e Giuseppe Savoldi del Bologna; tre anni e sei mesi a Bruno Giordano e Lionello Manfredonia della Lazio; tre anni a Giuseppe Wilson della Lazio e Luciano Zecchini del Perugia; due a Paolo Rossi del Perugia; un anno e due mesi a Franco Cordova dell’Avellino; un anno a Giorgio Morini del Milan; sei mesi a Stefano Chiodi del Milan; cinque mesi a Piergiorgio Negrisolo del Pescara; quattro mesi a Maurizio Montesi della Lazio; tre mesi a Giuseppe Damiani del Napoli; tre mesi a Franco Colomba del Bologna. In serie B furono penalizzate di cinque punti le società Palermo e Taranto, mentre la condanna più severa fra i giocatori toccò a Guido Magherini del Palermo, squalificato per tre anni e sei mesi; altre squalifiche furono comminate a Massimelli (tre anni) e Merlo (un anno). Furono penalizzate anche il Taranto ed il Palermo, costrette a cominciare il campionato 1980-81 partendo da “meno cinque”. Quanto alla giustizia ordinaria, il 23 dicembre 1980 tutti i giocatori implicati furono assolti «perché il fatto non sussiste», cioè non ci fu la truffa ai danni di chi aveva scommesso. Furono soprattutto alcuni nomi dei colpevoli a destare sensazione. Rossi e Giordano erano attaccanti titolari della Nazionale di Bearzot, che si apprestava a disputare i campionati europei, organizzati proprio dall’Italia. Ovviamente, dovettero lasciare la maglia azzurra e la squadra italiana, favorita della manifestazione, rimediò solamente un modesto quarto posto finale. Il caso di Paolo Rossi, in particolare, divise l’opinione pubblica. Il giocatore si dichiarò sempre innocente e le circostanze del suo coinvolgimento non apparvero, in realtà, mai del tutto chiare. Al riguardo, il pubblico accusatore, Corrado De Biase, raccontò in un’intervista rilasciata alcuni anni dopo i fatti: «Non avevo dubbi sulla colpevolezza di parecchi inquisiti. Solo di Rossi non ero convinto. Lui aveva sempre negato tutto. Era stato accusato di aver aderito alla proposta di fare un pareggio concordato dal Cruciani, alla presenza di un testimone. Proposi un faccia a faccia tra Rossi e Cruciani. Fu una scena drammatica. Soffrii per Rossi, che non riuscì a convincere i giudici della sua innocenza. Per la stampa, Rossi lo avevo condannato io. Ma era colpa mia se il giocatore non era riuscito a convincere della sua innocenza la Commissione disciplinare ???» Per un singolare caso del destino, Rossi fu poi il salvatore di molti suoi colleghi di sventura. Riqualificato poco prima che cominciassero i campionati del mondo del 1982 in Spagna, malgrado fiere polemiche, fu subito reinserito in Nazionale da Bearzot, che aveva sempre creduto in lui. Con i goals di “Pablito”, eroe di quel Mundial, l’Italia vinse il suo terzo titolo di campione del mondo, evento che indusse la Federazione a promulgare un’amnistia dei cui effetti finirono per godere i calciatori condannati alle pene più severe.
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