Ad ogni modo, il calcio va avanti nonostante l’inettitudine degli organismi federali e quindi proviamo a parlare di calcio giocato e delle prospettive della nuova stagione. E sono prospettive di una stagione tecnicamente più povera rispetto a quella, non certamente eccelsa, appena trascorsa, come detto non solo non sono arrivati “top players”, ma anzi è accaduto il contrario, Sanchez al Barcellona, Pastore al PSG, via pure Eto’o, e non è detto che qualche altro possa fare le valigie, prima della chiusura del mercato. In un certo senso è stato il calciomercato del “vorrei ma non posso”, e sotto questo profilo, il caso della Juventus mi pare quello più emblematico. Intendiamoci, finalmente c’è una presidenza degna di questo nome, Andrea Agnelli sta ridando alla tifoseria orgoglio e dignità, elementi invero dimenticati dalle precedenti gestioni, più proclivi alla operazione “simpatia” (tradotto, Juventus simpatica perché non vincente e non ostile ai padroni del valore); c’è un assetto societario funzionale, come dire, la cosa fondamentale per costruire una Juventus che torni a vincere c’è, ma se questa è la condizione necessaria, non è certo condizione sufficiente. Purtroppo si pagano ancora oggi le indecisioni del 2007, quando si doveva seriamente programmare una graduale ricostruzione della squadra, una graduale sostituzione della vecchia guardia, ed invece si è prodotto il nulla o quasi. Basti pensare alle operazioni di mercato di questi ultimi anni, e vedere chi davvero ha lasciato traccia di sé in bianconero: Tiago, Almiron, Andrade, Poulsen, Diego, tutti durati una stagione e andati via senza troppi rimpianti; Sissoko buon inizio e poi tanti infortuni e panchine; Iaquinta perseguitato dalla malasorte, ma forse l’unico encomiabile almeno per impegno e attaccamento alla maglia; Amauri una prima stagione buona, e poi andato definitivamente … in crociera; Felipe Melo disastroso la prima stagione, a corrente alternata la seconda; e per adesso non entro nel merito delle operazioni di mercato della scorsa stagione. Certo è che se il leader della squadra rimane ancora il più anziano, Del Piero, e ancora adesso, nel precampionato, la sua presenza appare non dico indispensabile, ma spesso necessaria, questo non è un buon segno, vuol dire che ancora non siamo riusciti a trovare il suo erede, e del resto non si vede neppure l’erede di Nedved, l’erede di Camoranesi, un vero leader difensivo come Montero o Thuram, e così via. Quest’anno però finalmente si è fatta una scelta coraggiosa quanto logica per la panchina, dandosi fiducia ad Antonio Conte, personaggio amatissimo dalla tifoseria, indimenticato campione in campo, vero leader formatosi attraverso diverse esperienze in vari periodi della recente storia bianconera, avendo avuto come allenatori grandi nomi della panchina, a cominciare da Trapattoni, a proseguire con Lippi, Ancelotti, e in Nazionale, Dino Zoff. A mio giudizio Conte è arrivato con due anni di ritardo e soprattutto con un handicap non indifferente, dato che nel 2009 avrebbe preso in mano una squadra in CL, ancora competitiva al vertice nonostante Ranieri, dunque un organico che andava gestito e migliorato. Adesso invece arriva con una squadra letteralmente da costruire, visto che gli ultimi due anni sono stati tra i peggiori in assoluto della storia bianconera, ma soprattutto con il compito di ricostruire una “mentalità da Juve”, che è poi è stato il limite principale delle ultime stagioni. Dunque, ancora una volta, direi per la terza in cinque anni, dobbiamo parlare di Juventus in fase di rifondazione o comunque di ripartenza, come dire, finora si è solo sprecato tempo. Ma anche stavolta mi sembra che non ci siano idee molto chiare: o meglio, a mio giudizio Conte le idee ce le ha, e chiarissime, ha in mente un modulo di gioco, molto offensivo, fondato sul possesso palla, su gioco molto largo sulle fasce, palla di prima e a terra, diciamo pure una evoluzione delle idee di Marcello Lippi: tuttavia i moduli sono sempre secondari, rispetto all’organico di cui si dispone, e dunque se si vuole giocare con il 4 – 2 – 4 di Conte, occorrono esterni di un certo tipo, in difesa e in attacco, centrali di centrocampo che siano abili nella duplice fase interdizione – impostazione, e soprattutto un reparto difensivo solido con automatismi ben collaudati. E qui occorre una riflessione sul mercato condotto finora dalla società. Fermo restando che fino al 31 agosto possono essere compiute operazioni importanti, e fermo restando che almeno quest’anno gli acquisti sembrano più mirati e di qualità rispetto al passato, in generale mi pare che ancora si continui nella solita “ambiguità” di una linea che non punta alla immediata costruzione di una squadra vincente, e dunque all’arrivo dei cosiddetti “top players”, ma nemmeno a porre le basi in prospettiva, mediante investimenti su giovani emergenti o valorizzazione di giocatori provenienti dal vivaio. Vedete, una squadra che si chiama Juventus, se decide che strategicamente è fondamentale prendere, che so, uno come Aguero, ha l’obbligo di trattarne l’acquisto e prenderlo, senza fronzoli; idem se decide di trattare Giuseppe Rossi, o chiunque altro fuoriclasse, o ritenuto tale, che possa far compiere il salto qualitativo alla squadra; se, viceversa, si ritiene di non dovere o potere competere con la pioggia di denaro che stanno mettendo sul mercato gli sceicchi che hanno rilevato varie formazioni in Europa, o i nuovi magnati russi dell’energia, allora si deve puntare seriamente ad una mirata campagna di acquisizione di giovani talenti, potenziare dunque la rete di osservatori, e investire su giovani in notevole quantità, ma non per mandarli in giro in prestito, o far disputare loro il campionato Primavera, bensì per lanciarli in prima squadra. Queste scelte non le sto vedendo ancora, anche se, ad onor del vero, finalmente abbiamo un vero regista di classe, Pirlo; abbiamo un esterno destro difensivo degno di questo nome (e Lichtsteiner sta confermando almeno in precampionato, questa impressione); lo stesso dicasi per Vidal, centrocampista eclettico e abile a ricoprire diversi ruoli, o per Vucinic, giocatore dai grandi numeri, anche se con il limite della discontinuità. Come dire, il salto qualitativo sembra evidente, ma, almeno per adesso, non sufficiente per rendere questa squadra competitiva e vincente immediatamente. Compito di noi tifosi dunque sarà quello di essere vicini a Conte, di saper accettare anche le battute d’arresto, o i momenti negativi, dato che siamo nuovamente in fase di ripartenza: anche perché una cosa è certa, e la stiamo notando in questo precampionato, Conte sta restituendo al gruppo una mentalità “da Juve”, una reattività che da anni non si vedeva, e perché no, anche un gioco piacevole da vedere ed una personalità da grande squadra in campo. E se rivediamo nuovamente una squadra combattiva, grintosa, che non si arrende, sarà già una vittoria importante; tanto meglio se accompagnata da un risultato sul campo che riporti la squadra nell’Europa che conta. Per il resto, è evidente che in un contesto come quello che ho descritto nella prima parte di questa presentazione, le formazioni milanesi, “piaccia o non piaccia” (per usare le parole di un inquirente napoletano, poi smentito dall’emergere della realtà, ma premiato come assessore dal neo sindaco De Magistris), saranno ancora le favorite per la vittoria finale, nonostante un evidente indebolimento dell’Inter, e un Milan che già lo scorso anno mostro di essere squadra soprattutto fortunata (diciamo così), e Ibra dipendente. Il Napoli è più completo, ma soprattutto ha un presidente che sta sempre a lamentarsi, a contestare tutto e tutti, consapevole che, con una federazione pavida, questo atteggiamento produrrà comunque “benevolenza” sul campo; le romane sono una incognita, ma se la Lazio di fatto ha mantenuto e forse potenziato il valore della scorsa stagione, la Roma è in fase di trasformazione non solo societaria, anche se le operazioni di mercato sembrano davvero valide, per una squadra a medio tempo: ma la tifoseria saprà aspettare? Infine, qualche notazione sul piano tecnico, almeno in prospettiva. Credo che stia iniziando la fase calante degli anni d’oro del gioco a zona, dei profeti del gioco offensivo ad ogni costo, o a viso aperto. Già qualche segnale era emerso ai mondiali di Sudafrica, ove l’organizzazione di gioco era stata prevalente rispetto al talento e ai moduli, e per organizzazione di gioco intendo proprio la capacità intanto di non far giocare gli avversari ed imporre la propria iniziativa; segnale che a mio giudizio è stato accentuato dalla recente Coppa America, nella quale le finaliste sono state squadre tecnicamente inferiori alle grandi sudamericane, Brasile e Argentina, ma entrambe formazioni molto ben organizzate, difesa arcigna e senza fronzoli, centrocampo di lottatori e interditori, un giocatore di riferimento per la manovra offensiva, punte mobili. In effetti, il gioco a zona, qualunque sia il modulo che si adotti, è efficace se si hanno veri campioni in grado di fare la differenza, specie quando le avversarie accettano il confronto sul piano del gioco: e così, come accade di norma, vince sempre la più forte, salvo che si suicidi. In altri termini, chi gioca contro il Barcellona, o riesce ad avere una organizzazione di gioco superiore, nel senso che toglie palla costantemente agli avversari, non li fa ragionare e riesce a mantenere costantemente l’iniziativa, oppure deve ricorrere al classico modulo delle più deboli, e dunque catenaccio e contropiede, virtù che fecero grandi il calcio italiano. Ed invero credo proprio che nel giro di qualche anno, ritorneremo nuovamente a parlare di ruoli specifici, riavremo il Claudio Gentile che francobolla in maniera asfissiante Maradona, il Beppe Furino che comincia a marcare Rivera fin dagli spogliatoi e lo lascia solo dopo il triplice fischio finale, il “libero”, i terzini che sanno difendere, i mediani che badano solo a correre e portare palla, e le ali veloci come un tempo.
(Fine)
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