Dovrei parlare di Parma – Juventus agli amici lettori, cosa che mi viene difficile per due ragioni: - la prima è che ho seguito solo, e a sprazzi il primo tempo, visto che l’andazzo era di quelli che faceva sperare poco e presagire una conclusione indecorosa; - la seconda è che, anche se l’avessi seguita interamente, avrei solo potuto scrivere ancor peggio di quello che invece mi appresto a scrivere. Quindi stavolta, tralasciando disquisizioni tecnico tattiche (si fa per dire, visto che questa squadra “masturba” il calcio, come a suo tempo diceva Gianni Brera a proposito di una nota squadra nerazzurra di Milano), e valutazione del rendimento dei singoli, andrò direttamente alle considerazioni finali: del resto, cosa potrei trovare da valutare, quando in una gara che era l’ultima spiaggia per conquistare almeno la consolazione dell’Europa League, il nostro Gigi “cuor-di-leone”, con rilevanti assenze a centrocampo, che avrebbero suggerito a chiunque di provare altri schemi, e possibilmente il tridente d’attacco, ha nuovamente schierato un attaccante esterno (Martinez) a esterno di centrocampo con compiti quasi da difensore, e un centrale certamente bravo come Giandonato, ma ancora a corto di fiato in quanto reduce da infortunio?
La sentenza
Parto dunque da queste ultime considerazioni, sulla formazione schierata e dai cambi effettuati, che credo spiegano meglio di ogni altra cosa la ragione per cui, pur avendo un organico certamente da prime quattro posizioni, invece il prossimo anno saremo fuori dall’Europa, sia quella di prima fascia, sia pure quella di seconda fascia, cosa che non accadeva dalla stagione 1991 – 92, come eredità (ma guarda un po’), della sciagurata presidenza Montezumolo, con Maifredi allenatore. Chiunque allenatore, con un centrocampo praticamente da inventare, vista l’assenza più o meno forzata di Krasic, Aquilani, Marchisio, Sissoko, avrebbe certamente provato moduli alternativi allo stucchevole 4 – 4 – 2 da applicare senza interpreti adatti: si poteva provare una difesa a 3 e centrocampo a 4, con due esterni adatti alla copertura come Salihamidzic e Grosso, centrali Melo e Giandonato, Del Piero più avanzato e due attaccanti, Matri e Toni; si poteva provare pure una sorta di “albero di Natale”, due mezze punte (Del Piero e uno a scelta tra Pepe e Martinez), a supporto di Matri, o addirittura un tridente puro d’attacco, magari con due faticatori a centrocampo (Melo e Salihamidzic), e così via. Insomma, soluzioni alternative ed anche più rischiose, ma del resto, in una situazione nella quale ormai non c’era nulla da perdere e tutto da guadagnare, un minimo di azzardo doveva essere provato, anche a costo di perdere netto. Invece la Juve è scesa in campo a Parma con la solita logica del contenere gli avversari e provare a ripartire, non avendo chi potesse lanciare lungo (ci ha provato qualche volta Giandonato, ma con scarsi risultati), o creare con la velocità superiorità numerica; né avendo qualcuno che in area di rigore potesse anche farsi rispettare sul piano atletico, Matri è bravo ma è più giocatore di movimento, di rapina, non certo un ariete d’attacco. Quindi, oltre al danno, pure la beffa della sorprendente (ma non certo imprevedibile, per chi conosce ambienti e fatti passati) sconfitta della Roma a Catania, a conferma che se la Juventus, contro una squadra tutto sommato salva e che a ben vedere nel primo tempo aveva disputato la sua onesta partita ma non certo all’arma bianca (e da quanto leggo anche nella ripresa è stato lo stesso canovaccio), poteva rischiare di più e provare a vincere, almeno il fallimento sarebbe stato un pochino attenuato dal piazzamento Europa League. Fatta questa disamina, è possibile accettare la solita, trita, giustificazione di mister Del Neri? Certamente no, ed anzi le dichiarazioni del dopopartita sono forse l’aspetto più sconcertante di tutto. Perché la Juventus di quest’anno non era certamente una grande Juve, ma era certamente una squadra che poteva arrivare molto più in alto, in una stagione che ha visto il calo di forza (dentro e fuori dal campo) dell’Inter; che ha visto una mediocre Roma fuori dalle prime posizione nonostante i rigori a volontà in suo favore; che ha visto una Lazio a lungo tra le prime quattro e quasi certamente arrivare quinta con un solo giocatore di talento, Hernanes, peraltro molto discontinuo, e comunque battuta in entrambi i confronti dai bianconeri; che quasi certamente vedrà l’Udinesa quarta assoluta, con una formazione di nomi semisconosciuti (tolto Di Natale, e considerato che Sanchez è esploso quest’anno, chi sono i nomi altisonanti in organico?); che manderà in C.L., con qualificazione diretta alla fase a gironi, una squadra con questi elementi in formazione: De Sanctis, Aronica, Paolo Cannavaro, Campagnaro, Maggio, Pazienza, Gargano, Dossena, e con i soli Hamsik, Lavezzi e Cavani giocatori di prima fascia. Ecco, provate a confrontare la formazione del Napoli, la panchina del Napoli, con la formazione e la panchina bianconera, confrontate la difesa della Nazionale (Buffon, Bonucci, Chiellini, con Barzagli e Grosso a lungo nel giro Nazionale), con la difesa che schiera gli scarti bianconeri De Sanctis e Aronica; confrontate un centrocampo di onesti pedatori (ma in quanto tali disposti alla lotta e al sacrificio), con il centrocampo certamente di livello europeo, almeno sulla carta, della Juventus, e poi ditemi se non è anche questione di chi sta in panchina, e questo lo scrivo anche con dedica a coloro che storcono il naso, nel caso in cui fosse Mazzarri il nostro nuovo allenatore. Questo a mio giudizio significa che siamo davvero al capolinea di una fase, se una stagione fallimentare, dopo tre anni diciamo vissuti di rendita, poteva essere digerita dalla tifoseria, una seconda consecutiva ancora peggiore no. Perché si è conseguito un risultato nettamente inferiore a quello possibile, perché la squadra costruita non era certamente grandissima, ma adeguata alla stagione e adeguata agli obiettivi minimi prefissati. E forse è un bene che ci sia stato il fallimento totale, che neppure l’Europa di seconda fascia sia stata raggiunga, e addirittura si rischi un piazzamento peggiore rispetto alla disastrata scorsa stagione, è la conferma che un ciclo è definitivamente chiuso, il ciclo iniziato nell’estate 2006, con la fuga dalla difesa del nome della Juventus, e successivamente con le gestioni di basso profilo che hanno del tutto dilapidato il patrimonio tecnico della squadra, ereditato dal passato: non sono arrivati affatto i sostituti di Thuram, Cannavaro (e non mi riferisco alla controfigura vista lo scorso anno), Camoranesi, Nedved; non c’è ancora chi dovrà sostituire Del Piero; dei vari giocatori arrivati, qualcuno si è smarrito (Iaquinta, Sissoko), qualche altro non è mai emerso (Tiago), qualche altro ancora è andato via forse prima del tempo, e se dico che per adesso, con riferimento al mercato ultimo, solo Matri e Quagliarella hanno mantenuto, per non dire superato, le aspettative, non credo di andare molto lontano dal vero. Pertanto, adesso occorre davvero una nuova partenza, con tante cose nuove e diverse rispetto al recente passato, che sono questi ultimi cinque anni, nei quali abbiamo soprattutto sperimentato che chi aveva il dovere di amare la Juventus, più della tifoseria stessa, ossia la proprietà, ha dimostrato cinismo e indifferenza, in maniera anche offensiva verso la tifoseria. Dicevo sopra della nefasta stagione 1990 – 91, che al cospetto di questa, vedendola con attenzione, fu una stagione quasi trionfale: arrivammo in semifinale di Coppa delle Coppe, eliminati dal Barcellona, in un momento nel quale lo spogliatoio era in disfacimento, dopo il gran rifiuto di Baggio di battere un calcio di rigore a Firenze contro i viola (uscendo poi con la sciarpa viola al collo, altro esempio del suo grande amore verso la Juventus, dopo la sciarpa gettata a terra il giorno della presentazione), episodio che tagliò le gambe alla squadra, fino a quel momento ancora in lotta per lo scudetto. Quindi altra situazione, squadra che almeno per due terzi di stagione si mostrò tutto sommato competitiva: ma a fine anno, una proprietà che AMAVA davvero la Juventus, tirando le somme, ritenne di dovere cambiare tutto, a cominciare dalla dirigenza, e dunque ritorno di Boniperti con Trapattoni nuovamente in panchina bianconera. Vero, le cose non andarono benissimo, anche perché Boniperti mal si adattava ad un calcio berlusconizzato; era quella la fase nella quale il Milan comprava soprattutto per non fare andare giocatori alle formazioni concorrenti, basti vedere chi veniva comprato e perché, su tutti il caso Lentini (ceduto con forti incassi in nero ai rossoneri dal Torino di Giraudo e Moggi, per la cronaca); non si vinse, certo, ma comunque un secondo posto, una coppa UEFA, il pallone d’oro di Baggio, come dire, momenti di soddisfazione per la tifoseria nonostante il predominio rossonero e una federazione vassalla (Matarrese, futuro europarlamentare di Forza Italia, presidente della Federcalcio, patto tra Federazione e Milan per far arrivare Sacchi in Nazionale, con evidenti conseguenze nel campionato, e inizio della invasione delle tv private sul calcio, guarda caso vicine alla proprietà rossonera). Ma, appunto, dopo una stagione disastrosa, la proprietà decise di cambiare tutto. Cosa che si deve fare anche adesso, o meglio si DOVREBBE fare anche adesso, ma non sono proprio certo che la proprietà (leggi Exor, leggi John Elkann), abbia davvero questo interesse: certamente noi tifosi dobbiamo pretendere che Andrea Agnelli smetta di essere presidente solo di facciata, di fare la voce forte quando c’è da parlare di denaro e diritti televisivi, e non la faccia quando c’è da tutelare la Juventus e la sua tifoseria, di parlare magari molto meno di programmi astratti, ed agire di più per programmi vincenti, anche se non necessariamente immediati, del resto, con l’eredità che lascerà il biennio nerissimo appena trascorso (questo campionato è praticamente finito, domenica prossima saranno tutte amichevoli o quasi), non è detto che si possa vincere immediatamente. Occorrerà fare quello che finora non è stato fatto, che poi si racchiude in una sola parola, ossia occorrerà tornare ad essere la Juventus, pochissime parole e moltissimi fatti, scelte anche coraggiose, ma portate fino in fondo con convinzione, anche se non gradite o dolorose. Va certamente sistemato l’assetto societario, se si crede in Marotta, gli si deve dare maggiore potere; se si crede in Paratici, bisogna anche che lui dia risultati, che la sua rete di osservatori porti giovani in grado di poter esplodere, ma bisogna pure prenderli e non fare nuovamente la figuraccia rimediata nel caso di Piazon; viceversa, se non si crede in loro, meglio dare da subito un taglio e cercare nuovi dirigenti, anche se mi rendo conto che in questo momento è tardi, per nuove scelte dirigenziali. Ma non è tardi per il nuovo allenatore, che dovrà essere persona diversa da Del Neri, e su questa scelta misureremo davvero il valore della dirigenza. Non con riferimento al nome, a costo di ripetermi, sono convinto che nessun tecnico di prima grandezza vorrà rischiare il proprio nome nella ricostruzione della Juventus, perché di questo si tratta; ma con riferimento a cosa dovrà fare il nuovo allenatore, a come verrà sostenuto nelle scelte tecniche e di mercato. Questa Juve invero non è completamente da buttare, ma probabilmente qualche addio doloroso temo si imponga, per dare altri stimoli a chi parte, ma avere in cambio gente che abbia fame e voglia di arrivare. Dunque bene le operazioni cosiddette “a costo zero”, ossia giocatori che arrivano a parametro zero (si parla di Ziegler, Pazienza, Pirlo, nomi certamente validi, soprattutto l’ultimo), ma è chiaro che la vera strategia a medio e lungo termine non può prescindere dalla individuazione di un paio di veri fuoriclasse, possibilmente giovani, che possano diventare le stelle della Juve che verrà. Io lancio due nomi, da prendere costi quel che costi: Giuseppe Rossi, Javier Pastore. O, al limite, altri nomi sui quali costruire la Juventus che verrà. Poi su questi campioni si potrà costruire di conseguenza, anche a costo di cessioni importanti.
Le mie postille
- Scemo della settimana. Visto quanto mi sono dilungato, rinvio ad altro momento considerazioni sul finale di campionato, sulla festa scudetto rossonera, e su altre amenità di questo periodo. Mi limito dunque solo allo scemo della settimana, e francamente, stavolta avrei anche un paio di personaggi di area juventina da indicare, ma credo di avere già infierito sopra. Dunque, premio che questa settimana non può che essere dato al pittoresco presidente del Palermo, Zamparini Maurizio, che, in polemica con la minacciata volontà di Andrea Agnelli di cambiare Lega e andare all’estero (sortita non proprio intelligente e da premiare …), ha risposto più o meno “La Juve vuole andare all’estero? Non ne sentiremo la mancanza, del resto per un anno è stata fuori dalla serie A e non ce ne siamo accorti”. Affermazione a cui basterebbe replicare solo citando i dati di ascolto di quella stagione, la B praticamente più seguita della serie A. Ma siccome rimane sempre vero il detto che “un bel tacer non fu mai scritto”, poco dopo questa affermazione intelligente di Zamparini, è arrivata la notizia del sequestro cautelare delle azioni del Palermo Calcio, su provvedimento della magistratura di Benevento, a seguito di una indagine su un centro commerciale, nel quale Zamparini avrebbe avuto una condotta non precisamente specchiata. Il che rischia di provocare una cosa del genere, ossia l’addio al calcio da parte del nostro ineffabile eroe. Stia tranquillo il signor Zamparini, se dovesse essere costretto ad abbandonare il calcio, nessuno ne sentirebbe la mancanza. Soprattutto noi juventini.
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