Tutte le partite ufficiali della stagione |
G. |
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N |
16 |
31 |
8 |
7 |
1 |
28 |
12 |
T |
La Juventus dal 1900 ad oggi |
Gare ufficiali |
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Serie A |
4.579 |
Giocate |
3.088 |
2.508 (54,77%) |
Vittorie |
1.699 (55,02%) |
1.172 (25,60%) |
Pareggi |
836 (27,07%) |
899 (19,63%) |
Sconfitte |
553 (17,91%) |
8.194 |
Fatti |
5.378 |
4.459 |
Subiti |
2.910 |
C. Europee |
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Era 3 pti (uff.) |
512 |
Giocate |
1.557 |
281 (54,88%) |
Vittorie |
927 (59,54%) |
113 (22,07%) |
Pareggi |
369 (23,70%) |
118 (23,05%) |
Sconfitte |
261 (16,76%) |
871 |
Fatti |
2.737 |
472 |
Subiti |
1.378 |
Tutti i numeri della Juventus |
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Pubblicato il 24.12.2010
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John Charles
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di Bidescu
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Alla fine di un derby, il “Gigante buono” John Charles mostrò, nello spogliatoio, la spalla nuda, sulla quale erano rimasti in modo molto chiaro dei segni di denti, perché lo stopper avversario lo aveva morsicato, per fermarlo in qualche modo. A chi gli chiedeva come mai rideva della cosa, John fece rispondere da Sivori, il quale precisò che se mai il gallese si fosse arrabbiato, avesse messo in atto qualsiasi reazione, il dentuto sarebbe morto. Una volta finì contro un palo e rimbalzò inanimato, mentre il palo vibrava. Molti spettatori pensarono all’infortunio del calciatore, ma fu, invece, la tragedia del palo che prese a muoversi ad ogni sollecitazione perché l’urto gli aveva tolto la guaina stretta del terreno. Charles si rialzò quasi subito, scrollando la testa come a rimproverarsi.
Per averlo dal Leeds, la Juventus diede al club inglese, i soldi per ampliare la tribuna del proprio stadio: Prima di fare una stagione breve ed infelice alla Roma, Charles riuscì a sistemarsi nella galleria dei grandissimi della Juventus, con un gioco fisico e potente, in contrasto con quello sfavillante ed ubriacante di Sivori, con il quale si integrava alla perfezione.
Parlò sempre poco l’italiano, ed i colleghi garantivano che parlava poco anche l’inglese. Arrivò a Torino nel 1957 con già tre figli (Sivori, tre anche lui. ne ebbe due quando già stava a Torino) e trovò sempre riparo in essa.
In campo era un grande, riusciva a conciliare la mole con l’estetica, la potenza con la precisione, la gagliardia con la realtà. I compagni lo ammiravano devotamente, gli avversari lo temevano rispettosamente. Chi era costretto a piantargli i denti nella spalla, in realtà doveva imporsi la cattiveria, perchè John era uno di quelli che attiravano strette di mano. Una volta raccontò di quando, nel Galles, fece il suo primo viaggio con la squadra. Era in treno, passò quello con i panini offerti dalla società, lui aveva fame, allungò una mano, un anziano della squadra gliela trapassò con un coltello e gli spiegò che aveva mancato sul piano dell’educazione e lo ammonì a dare sempre la precedenza a quelli più vecchi.
John aveva avuto anche esperienza in miniera: lo obbligarono ad incidere un disco, raccontando questa storia; lui sosteneva che non era giusto, lui era fortunato e basta, la miniera gli era servita per fargli vedere come era bello il mondo al di sopra.
Aveva una velocità progressiva notevole e quando capitava che travolgesse un avversario, John subito lo aiutava ad alzarsi e gli chiedeva scusa. Una volta venne a giocare a Torino l’Arsenal ed il centromediano era suo fratello, Mel: si diedero sanissime botte per novanta minuti, un bel western di famiglia: mai una cattiveria, sempre una onesta gagliardia. Fu uno spettacolo.
Disse di lui “Farfallino” Borel: «Sono oltre trent'anni che seguo il gioco del calcio e posso dire che mai nessun atleta mi ha impressionato nel gioco di testa, come Charles. È senz’altro favorito dalla statura, ma sa contemporaneamente saltare e colpire, con una precisione mai vista fino a quel momento. Nel gioco di testa è completo, sa effettuare il tiro diretto in porta con precisione e potenza e, nel medesimo tempo, sa effettuare il passaggio breve e preciso, per mettere il compagno nelle condizioni migliori per giocare la palla».
John Charles era molto timido. Mai visto uno così rapido nell’arrossire, anche per cose di poco conto. Un cromatismo alla “Mammolo” di Biancaneve, dolce ed assurdo in un uomo così grosso, così forte.
John ebbe fama anche per come, unico forse al mondo, seppe reprimere, sino allo schiaffo, l’allegria/isteria di Sivori in un match milanese di Coppa Italia. Omar aveva per John un rispetto terribile, nel senso che lo notificava sempre a John, per farlo arrossire, ma intanto lo coltivava pure, lo ammetteva, ne riconosceva la profonda giustizia.
Un giorno si scontra a metà campo con l’avversario, un tipo forte come una quercia di fusto corto: Bernasconi della Sampdoria. L’impatto è tremendo, ha la peggio il doriano che rotola a terra, fra gemiti; disco verde per John, che ha davanti a sé solamente il portiere. Ma si accorge dell’avversario dolorante, si blocca e butta la palla in fallo laterale; dopodichè, soccorre Bernasconi, fra gli applausi per il suo cuore immenso. Fra gli aneddoti tramandati di generazione in generazione, c’è anche un impatto tremendo contro un palo, durante una partita contro la Fiorentina; i pali, all’epoca, non erano arrotondati, ma spigolosi. Nel catapultarsi sul pallone, finisce contro il legno eppoi rovina a terra; lo stadio resta muto, come avvolto da una grande farfalla silenziosa. Il gigante è a terra e quasi non respira; ha gli occhi chiusi, ma si riavrà poco dopo, stordito ma pronto a lottare su ogni pallone. Il “Comunale” è di nuovo in festa.
Il compagno Garzena, racconta: «Prima delle partite, avrebbe potuto mangiarsi una bistecca alla valdostana, con il formaggio e tutto il resto. E non aveva mai una lira in tasca; John non aveva mai capito troppo bene il cambio tra Lire e Sterline, era poco attento ai soldi ed all’amministrazione del denaro. Capitava spesso che gli dovessi pagare persino il cinema. Che giocatore, però! Quello che fece nel primo anno alla Juventus, tra goal fatti, goal salvati ed assist, non ho mai più visto farlo a nessuno».
Ancora John: «Boniperti impostava dalla metà campo le nostre azioni. Omar, in fase avanzata, deliziava noi ed il pubblico con impareggiabili serie di tocchi, di passaggi e di tiri diabolici. Quando la difesa marcava lui, doveva necessariamente concedermi una libertà, che mi consentiva di piazzare tiri in rete e colpi di testa. Quando i difensori, invece, si gettavano in massa su di me, la stessa libertà di azione, veniva concessa a Sivori e dare respiro ad Omar significava incassare delle reti ed essere beffati».
Ed ancora, quando decise di lasciare la Juventus: «Rimpiango di non essere arrivato prima in Italia, in questo paese magnifico, fatto per gente eccezionalmente simpatica. Se così fosse stato, anche la mia famiglia avrebbe assimilato, come ho fatto io, il vostro modo di vivere. Ma adesso avverto il bisogno di tornare a casa; i miei figli cominciano ad essere grandi e mia moglie Peggy sostiene che non possiamo più perdere del tempo. Dovranno vivere in Inghilterra, è necessario che, nel minor tempo possibile, diventino inglesi. Per questo John Charles, vi lascia e vi saluta; io, lo giuro, sarei rimasto tra di voi per sempre. Ma non posso! Non posso proprio!»
John Charles ci ha lasciato il 21 febbraio 2004. Lo chiamavano ogni tanto a Torino per qualche partita di vecchie glorie, il fisico era sempre buono, il suo colpo di testa sempre letale. John trovava sempre gente che gli ricorda un suo goal, e le emozioni e commozioni ad esso legate, e lui, gentilissimo, faceva finta di ricordare perfettamente ogni particolare. D’altronde i suoi goal, di testa o di piede, furono sempre molto simili, perentori e sonanti, largamente annunciati da un volo, da una avanzata, senza troppa invenzione e fantasia. I suoi goal non facevano arrabbiare i portieri, erano goals buoni, chiari, semplici. Erano John Charles.
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