 Tutte le partite ufficiali della stagione |
G. |
Pti |
Vit |
Par |
Sco |
Fat |
Sub |
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23 |
44 |
12 |
8 |
3 |
37 |
20 |
C |
19 |
30 |
7 |
9 |
3 |
26 |
20 |
F |
1 |
0 |
0 |
0 |
1 |
1 |
2 |
N |
43 |
74 |
19 |
17 |
7 |
64 |
42 |
T |
 La Juventus dal 1900 ad oggi |
Gare ufficiali |
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Serie A |
4.606 |
Giocate |
3.106 |
2.519 (54,69%) |
Vittorie |
1.707 (54,96%) |
1.182 (25,66%) |
Pareggi |
843 (27,14%) |
905 (19,65%) |
Sconfitte |
556 (17,90%) |
8.230 |
Fatti |
5.403 |
4.489 |
Subiti |
2.931 |
C. Europee |
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Era 3 pti (uff.) |
518 |
Giocate |
1.584 |
283 (54,63%) |
Vittorie |
938 (59,22%) |
115 (22,20%) |
Pareggi |
379 (23,93%) |
120 (23,17%) |
Sconfitte |
267 (16,86%) |
876 |
Fatti |
2.773 |
478 |
Subiti |
1.408 |
Tutti i numeri della Juventus |
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Pubblicato il 27.09.2010
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Claudio Gentile
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di Bidescu
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Nel giugno 1958, cominciava a brillare ed a far parlare di sé la stella di Pelè, ma nessuno di quei ragazzini che sfidavano il sole nelle polverose strade del quartiere Sant’Antonio a Tripoli, disputandosi accanitamente una palla, aveva la benché minima idea che in quei giorni in Svezia si disputassero i campionati mondiali di calcio. Neanche se qualcuno glielo avesse detto, il loro interesse sarebbe mutato: erano ben più importanti le sfide quotidiane tra figli di emigranti e piccoli arabi che, in fondo simili a quelle che tutti i giorni si disputano nei nostri oratori, avevano però protagonisti ben lontani dall’identificarsi o voler emulare i celebrati campioni del tempo. In quelle sfide, giocate il più delle volte a piedi scalzi, occorreva tanta determinazione, grandi o piccoli che si fosse. E fu lì che Claudio Gentile imparò a forgiare il suo carattere, non potendo immaginare che ventidue anni dopo il suo nome sarebbe stato consegnato alla storia del calcio da un titolo mondiale e dall’essere stato capace di fermare gli ideali successori di Pelè, Zico e Maradona. «Sono cresciuto in Libia, mio padre si era trasferito con la famiglia a Tripoli ed è lì che ho avuto le prime esperienze calcistiche; esperienze a livello di bambini, ovviamente, ma che mi hanno dato un’impronta incredibile. In parole povere, giocavamo a calcio, ma finiva a botte; io ero piccolo, ma ricordo che ogni pomeriggio, dopo la scuola, ci trovavamo in strada, gli italiani da una parte e gli arabi dall’altra. Si cominciava fra cento sorrisi poi, alla minima discussione, giù botte da orbi; sono stato temprato così alla battaglia, lì bisognava colpire il pallone ma, soprattutto, guardarsi alle spalle, per evitare i calcioni che arrivavano». Se i Campionati del mondo in Spagna rappresentano il fiore all’occhiello, sono gli undici campionati giocati in maglia bianconera (nei quali ha totalizzato 415 presenze e 10 goal) ad aver affermato, partita dopo partita, le qualità di grande combattente di Claudio Gentile. Gli anni juventini rappresentano un magnifico esempio di carattere e professionalità, uniti alla volenterosa capacità di adattarsi alle esigenze della squadra. Gentile arrivò alla Juventus nell’estate del 1973 dopo una militanza, poco più che anonima, ad Arona (serie D) e Varese (serie B). Per trovar posto in prima squadra non incontrò grosse difficoltà, i problemi vennero in seguito. «Inizialmente, ero l’alternativa a Furino, mi toccò fare il mediano, giocare cioè in un ruolo abbastanza atipico per me. D’altronde la concorrenza come difensore di fascia era terribile: c’erano Marchetti, Spinosi e Longobucco. Giocatori validi e senz’altro più esperti di me. Esordii in bianconero il 2 dicembre 1973 e fu una bella vittoria, 5-1 con il Verona. Giocai mediano e, almeno a quanto mi disse l’allenatore ed quanto lessi sui giornali, me la cavai benino e venni confermato. I veri guai iniziarono qualche mese più tardi, quando ormai venivo considerato più di una promessa. La forma incominciò a scadere, rischiai di uscire di squadra. Furono giorni bruttissimi. Mi dissi: è ora che dimostri di essere uomo oltre che giocatore. Fu la molla per risalire». Una molla alla quale Gentile ricorse spesso,rendendosi conto che quella era l’interpretazione professionale giusta per continuare a vestire la maglia juventina: «Giocare nella Juventus, non è né facile né difficile, come vorrebbe qualcuno. Però se non sei uomo, vai sicuramente a fondo. Perché si è condannati a vincere sempre e non ci si può mai permettere di sbagliare. Non è vero che alla Juventus ti vengono chiesti maggiori sacrifici sul piano fisico: l’unico vero guaio è se non riesci a farti la mentalità vincente. Ho visto tanti, più bravi di me, naufragare per non aver retto lo stress psicologico. Io, posso dire di non dover niente a nessuno. A Varese, ad esempio, né Sandro Vitali, né l’allenatore Maroso si accorsero mai di me. Le loro attenzioni erano piuttosto rivolte a Manueli, Calloni e Gorin. Per loro, io ero uno che aveva soltanto tanta volontà». L’emozione del primo derby: «Mi toccò marcare Claudio Sala, l’elemento più difficile da controllare, perché non sapevi mai dove ti poteva scappare via. Me la cavai benino». Facendo leva sulla propria grinta e determinazione, Gentile ha dunque costruito la sua carriera juventina vincendo tutto eccetto la Coppa dei Campioni: al suo attivo sono sei scudetti, due Coppe Italia, un Mundialito, una Coppa Uefa, una Coppa delle Coppe. Tanti, naturalmente, i ricordi: «La mia stagione magica fu quella 1976/77. Trapattoni era convinto delle mie qualità, al punto da farmi giocare a sinistra nonostante io non sia mancino e anzi con quel piede ci sappia fare piuttosto poco. Invece di spaventarmi, feci leva anche quella volta sulla grinta. E tutto andò benissimo, dando ragione a Trapattoni. Vincemmo campionato e Coppa Uefa ed io disputai la mia miglior stagione in bianconero». Nella tarda primavera del 1984 il divorzio dalla Juventus: «Fu una scelta difficile perché, oltretutto, non avrei per nessuna ragione al mondo voluto fare uno sgarbo a Boniperti. Non dimentico certo quello che il presidente ha significato per me, la sua fiducia e la sua stima per la mia carriera. Non ho tradito, bensì fatto una scelta; a 31 anni mi offrivano delle condizioni migliori di lavoro e le ho accettate, come avrebbe fatto qualsiasi professionista con famiglia a carico. Cambiano soltanto le cifre, la sostanza è la stessa». Nell’album dei ricordi di “Gento” (soprannome che gli venne dato dai compagni e forse anche per questo gli è sempre stato più gradito di quel “Gheddafi” riferito alle sue origini) ci sono anche capitoli curiosi. Uno di questi è quello riferito a tal Galuppi, attaccante del Vicenza: «Altro che Maradona o Zico: è quel Galuppi lì che mi fece ammattire ogni volta che lo incontrai. Una vera dannazione, mi sgusciava da tutte le parti ed io non riuscivo a fermarlo neppure ricorrendo alle maniere forti. Mi spiace per lui, ma è stata una fortuna per me che non sia riuscito a sfondare ai massimi livelli del calcio!»
http://ilpalloneracconta.blogspot.com/
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