Tutte le partite ufficiali della stagione |
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T |
La Juventus dal 1900 ad oggi |
Gare ufficiali |
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Serie A |
4.579 |
Giocate |
3.088 |
2.508 (54,77%) |
Vittorie |
1.699 (55,02%) |
1.172 (25,60%) |
Pareggi |
836 (27,07%) |
899 (19,63%) |
Sconfitte |
553 (17,91%) |
8.194 |
Fatti |
5.378 |
4.459 |
Subiti |
2.910 |
C. Europee |
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Era 3 pti (uff.) |
512 |
Giocate |
1.557 |
281 (54,88%) |
Vittorie |
927 (59,54%) |
113 (22,07%) |
Pareggi |
369 (23,70%) |
118 (23,05%) |
Sconfitte |
261 (16,76%) |
871 |
Fatti |
2.737 |
472 |
Subiti |
1.378 |
Tutti i numeri della Juventus |
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Pubblicato il 12.08.2010
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Francesco Morini
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di Bidescu
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Francesco Morini, veste la maglia bianconera nell’estate del 1969, arrivato, dalla Sampdoria, in compagnia di “Bob” Vieri. Due personaggi completamente differenti: lui pisano (nato a Metato, frazione di S.Giuliano Terme) concreto, attento, preciso, attaccato alla professione, ed il piombinese geniale, quanto incostante, promessa mai mantenuta nel nostro calcio. L’allenatore della Juventus è Luis Carniglia, un esigente sognatore, il quale avrebbe voluto che tutti i propri giocatori, anche uno stopper, saltassero gli avversari con un tunnel. Morini non aveva per niente queste caratteristiche e si trovò a disagio. Era una piovra che con mille tentacoli toglieva il pallone dai al diretto rivale, uno stopper perfetto, dalla marcatura ferrea. «Sapevo di avere dei limiti, ma sono sempre stato sorretto da un buon fisico e da un’ottima condizione atletica; seppure fossi alto, ero molto veloce e scattante, sicché potevo marcare, indifferentemente, avversari piccoli o ben messi. Anche se non cattivo, sono sempre stato molto spigoloso, rognoso ed appiccicoso, pronto in ogni momento a far valere il mio anticipo, Di certo, non mi cimentavo in lanci millimetrici, preferivo appoggiare la palla ad un compagno vicino a me». Soprannominato “Morgan”, come il pirata, perché, come scriveva un giornalista a quel tempo, «da pirata era il suo modo di depredare l’avversario del pallone roteandogli addosso i bulloni, di arrangiarsi coi gomito, e pazienza se non fluidificava molto». Fisico poderoso e asciutto (un metro e 81 per 73 chili), undici volte nazionale, Morini era uno di quei rari atleti mai domi, di grandissima utilità, capaci di giocare anche con una caviglia a pezzi, con un muscolo dolente. Arrivò a marcare un extraterreste come Cruijff, malgrado avesse un tallone fuori uso: bastava un’iniezione antidolorifica per farlo scendere in campo. «In bianconero ho passato degli anni meravigliosi. Abbiamo centrato risultati eccezionali, sia in Italia che in Europa, ho avuto per compagni di squadra, dei veri campioni. È importante giocare con dei campioni, perché ti trascinano ed io mi sono fatto trascinare. Ricordi ne ho tanti, rimpianti un solo: Belgrado, eravamo nel 1973, finale di Coppa dei Campioni, persa contro un Ajax grande, ma non poi così grande. Insomma, avremmo potuto anche giocarcela, invece andò come tutti sanno». Francesco lascia la Juventus alla fine del campionato 1978/79, dopo 372 presenze in bianconero solo in campionato. Si trasferisce in Canada, nel Toronto Blizzard a studiare lingue, per poi presentarsi, successivamente, al corso di manager di Coverciano. Terminato il corso, “Cecco”, ritorna alla Juventus come dirigente: «Un tipo di lavoro che mi ha sempre affascinato ed appassionato», mettendo a disposizione la sua esperienza maturata sul campo, che unisce la professionalità all’amore per colori per i quali ha dato molto ma dai quali, dice, ha ricevuto moltissimo. «Ho sempre cercato di imparare dai più bravi, sia da calciatore che da dirigente ed ho sempre continuato a farlo. Sono stato onorato di far parte della famiglia bianconera, mi sono sempre identificato in questo ambiente, conoscendone i segreti; non mi sarei mai visto a lavorare altrove». Non ha mai segnato una rete ufficiale: «A dire il vero, una volta un goal l’ho fatto, in un torneo italo/inglese, disputato in un estate di tantissimi anni fa. In ogni caso, la mancata segnatura di reti non mi ha mai contagiato più di tanto, perché ciò che mi esaltava era fare in modo che non andasse in goal l’uomo che dovevo marcare; questo equivaleva, per me, ad una rete, perché se in squadra devono essere particolarmente attivi i bomber, altrettanto devono esserlo i difensori ad imbrigliare il gioco delle punte avversarie». Come dargli torto?
Da “Hurrà Juventus” del maggio 1980: Lo stopper più granitico e guerreggiante dei tempi moderni, dunque, prende e se ne va. Francesco Morini, gloria vivente di tanto calcio italiota degli anni sessanta e settanta, decide che è giunto il suo momento, ma prima vuole, fortissimamente vuole, concedersi una divagazione sportiva che è emblematica del tempo presente, inimmaginabile per il pioniere. Morini va a chiudere la sua carriera di ineguagliabile lottatore in America, Canada per l’esattezza, ed è decisione niente affatto sorprendente, semmai perfettamente allineata con la personalità di questo difensore tra i più illustri della Juventus trionfante di questi anni. Duro è il mestiere di stopper, dove il talento non basta e spesso il coraggio e la cattiveria sono valori ben più essenziali. Durissimo, poi, fare lo stopper nella Juve. 1969, anno di grazia e di parecchie disavventure. Undici anni orsono, undici anni di Juve tanto diversa. Francesco Morini arriva venticinquenne dalla Sampdoria con la fama di marcatore ruvido ancorché insormontabile. Deve rilevare le incombenze dell’araldo difensivo della Juve “heribertiana”, dell’ultimo centromediano antico del nostro calcio, di Giancarlo Bercellino da Gattinara, eroe con “Tino” Castano del tredicesimo scudetto. È una eredità grave, un fardello dei più ingombranti. Gli inizi non sono facili, né potrebbero esserlo. La Juve che dovrebbe voltare pagina e tornare ad essere trionfante, in realtà inciampa spesso in ostacoli all’apparenza agevoli e le colpe si ripartiscono tra tutti, stopper compreso, stopper prima di altri. Il derby di andata in una luminosa e calda giornata di ottobre si vinceva a una manciata di secondi dalla fine grazie ad una rete di Zigoni detto “Zigo” e va a finire che si perde per una dabbenaggine di Morini nostro, che fa saltare indisturbato Bui sotto porta, e gli consente la più comoda delle realizzazioni. Lo sguardo solare di Francesco si rabbuia, ci sono giornate tristi di solitudine per questo atleta in cerca di comprensione tecnica. Carniglia, l’ “entrenador” che nulla ha da insegnare a Vieri ed Haller fuoriclasse d’altri tempi, non riconosce l’indispensabile lavoro di rottura del biondo stopper toscano e si lascia andare ad affermazioni poco felici che rattristano il ragazzo, Ci vuole tempo, non molto, ma ci vuole. Carniglia non può avere futuro in questa Juve che vuole proiettarsi sugli anni settanta. Morini fa parte della Juve settanta. Il dilemma tecnico tra il vecchio hidalgo ed il giovane stopper non si pone neppure. La leggenda bianconera di Francesco Morini, certo, passa attraverso tappe e momenti speciali. Per esempio, momento importante ed altamente significativo il suo duello con “Gigi” Riva, che inizia nel novembre del 1969 all’ “Amsicora” di Cagliari e prosegue per anni, sempre all’insegna della massima correttezza pur nel massimo dispiego di energie e sforzi. Tenacemente assertore del gioco all’inglese, dotato di un anticipo che non concede scampo all’attaccante in cerca di leziosità, Morini costruisce il suo stile in pochi tratti essenziali e lo spiega al volgo con prestazioni monumentali. I duelli rusticani con “Giorgione” Chinaglia esemplificano al massimo grado questa concezione di gioco, di tempesta ed assalto, di pionierismo nel senso di impegno cristallino, di dedizione alla causa bianconera. A qualcuno può non piacere questo modo brusco di cercare il tackle, questa volontà tremendamente applicata alla marcatura. Nessuno, però, può discuterne l’efficacia. “Cesto” Vycpalek, chiamato a proseguire il lavoro del povero Picchi su un telaio di giovani campioni in cerca di grandi traguardi, eredita già lo stopper di tutte le leggende. Nella Juve 1971 che sta per vincere tutto, Morini è già colonna insostituibile. I centravanti del campionato imparano a conoscere ed a temere la disfida lanciata dallo stopper toscano ormai saldamente trapiantato a Torino. Lo scudetto della sofferenza, il quattordicesimo, arriva con il determinante contributo dello stopper giunto a piena maturazione tecnica ed umana. Morini onora la maglia con un rendimento medio altissimo e giganteggia con fior di campioni, soffrendo praticamente in una sola circostanza, un Juventus-Napoli che anche per questo finisce pari, 2-2. Morini nell’occasione è chiamato a controllare un centravanti che ne sa una più del diavolo e che, secondo alcuni, sta per appendere le scarpe al fatidico chiodo. Non sarà così, per fortuna della Juve che anche grazie a costui costruirà il suo mito. Fin troppo chiaro che stiamo parlando di Altafini. Trenta presenze nel magico campionato 1971/72, trenta erano pure statele presenze nel 1970/71. Due stagioni senza manco una assenza che è una rappresentano già un fatto significativo. Ma il bello deve ancora venire. Lo scudetto numero quindici, quello del 1972/73 propone un Morini ancora migliorato sul piano della sicurezza, ormai dotato di un bagaglio di esperienza che solo un veterano può permettersi di vantare. E Francesco a tutto si può avvicinare, meno che ad un veterano. 1973/74 e 1974/75 coinvolgono anche il biondo difensore bianconero, ne toccano assetti umani non inediti ma comunque suggestivi in prospettiva futura. Morini accusa qualche infortunio, il dispendio di energie e gli elevati rischi che comporta il suo modo di giocare, sempre estremamente battagliero, intaccano, talvolta, la sua dura scorza. Accade che talvolta la critica non sia benevole nei suoi confronti. Sono accadimenti, episodi, che lasciano il tempo che trovano. La volontà contribuisce ad assorbire infortuni e critiche a tempo di record. Il tallone che lo la soffrire viene spesso ignorato a scusante di certe prestazioni non propriamente inappuntabili, e sono le poche volte che il personaggio, che poi personaggio non è almeno nel senso comune del termine, esce allo scoperto ed affronta le critiche con la medesima risolutezza e linearità con cui duella con i centravanti. Le fortune bianconere non coincidono che raramente con analoghe soddisfazioni azzurre, e questa è la principale ragione di rammarico di Morini. La Nazionale “messicana”, che giustamente Valcareggi, per meriti effettivi oltre che per normale riconoscenza, mantiene a lungo intatta o quasi, non concede spazio allo stopper bianconero, all’ormai leggendario “Morgan” delle mille battaglie. Né si può dire dei più fortunati l’impatto di Francesco con la maglia azzurra, alle porte del Mondiale di Germania. A trenta anni, coinvolto negli esiti infausti di una spedizione nata male e finita peggio. Morini paga colpe che non ha mai avuto e finisce nel dimenticatoio, proprio mentre la sua vicenda bianconera raggiunge vertici assoluti, tanto in campo nazionale che a livello di coppe. È un neo assolutamente ingiustificato, sul quale Francesco ha lungamente filosofeggiato, senza acredine e inutili polemiche. Anche questo contribuisce a rendere grande e assoluto il personaggio. Il Morini più grande, quello cui tutti i supporter bianconeri sono maggiormente legati, è però senza dubbio l’ultimo, il più vicino a noi. La maturità del campione è spesso segnata da una lenta quanto inesorabile parabola discendente sul piano del rendimento: nulla di tutto questo nel caso di Morini che conosce nella Juve “trapattoniana” i momenti forse più esaltanti di una carriera sfolgorante. Le battaglie di Coppa Uefa esaltano l’ardore e l’attaccamento alla causa bianconera dello stopper più roccioso dei tempi moderni, ne affinano l’acume tattico, ne rendono sempre più efficace il contrasto. Anche gli esteti devono alfine ammettere uno stile Morini, e di stile autentico si tratta, affinato dalla partecipazione a tutti i massimi eventi della recente storia bianconera. Entrato di diritto, nella stagione passata, tra i grandi della Juve quanto a fedeltà di presenza, Francesco Morini lascia in modo glorioso, in perfetta sintonia con il suo carattere. In America ritroverà una fetta del suo passato, e rivivrà con sfumature diverse gli attimi esaltanti della sua ineguagliabile carriera. E sarà tramonto ancor più glorioso.
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