Tutte le partite ufficiali della stagione |
G. |
Pti |
Vit |
Par |
Sco |
Fat |
Sub |
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9 |
16 |
4 |
4 |
1 |
12 |
5 |
C |
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4 |
3 |
0 |
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7 |
F |
0 |
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0 |
0 |
0 |
N |
16 |
31 |
8 |
7 |
1 |
28 |
12 |
T |
La Juventus dal 1900 ad oggi |
Gare ufficiali |
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Serie A |
4.579 |
Giocate |
3.088 |
2.508 (54,77%) |
Vittorie |
1.699 (55,02%) |
1.172 (25,60%) |
Pareggi |
836 (27,07%) |
899 (19,63%) |
Sconfitte |
553 (17,91%) |
8.194 |
Fatti |
5.378 |
4.459 |
Subiti |
2.910 |
C. Europee |
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Era 3 pti (uff.) |
512 |
Giocate |
1.557 |
281 (54,88%) |
Vittorie |
927 (59,54%) |
113 (22,07%) |
Pareggi |
369 (23,70%) |
118 (23,05%) |
Sconfitte |
261 (16,76%) |
871 |
Fatti |
2.737 |
472 |
Subiti |
1.378 |
Tutti i numeri della Juventus |
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Pubblicato il 25.05.2010
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Gaetano Scirea
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di Bidescu
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«Tra i liberi più forti del mondo, assolve il suo ruolo con assoluta naturalezza, in punta di piedi, concedendo poco allo spettacolo e meno ancora alla gloria personale». «Nessuno è stato grande come Scirea, perché gli altri, compresi i sommi Beckenbauer e Baresi, erano difensori che avanzavano, lui era difensore in difesa, centrocampista vero a centrocampo, attaccante vero in attacco. Era unico». Potrebbero essere alcuni brevi profili di Gaetano Scirea, nato a Cernusco sul Naviglio il 25 maggio 1953. Scirea comincia la sua strada di calciatore nel ruolo di punta, anzi, di centrattacco. Infatti, è la maglia numero nove che gli viene fatta indossare quando, a 14 anni, dopo aver giocato sempre nel ruolo di attaccante nei ragazzi della squadra del San Pio X, firma il primo cartellino per i colori dell’Atalanta. Approda a Bergamo, dopo una corte serrata fattagli dal Como e dal Varese e viene inserito nella squadra giovanile, per passare agli allievi prima di B e, poi, di A, quindi alla “Primavera”. Ala destra, mezzala, centravanti; segna tanti goals e si destreggia con astuzia ed intelligenza. Ma, con le concezioni del calcio totale, anche se gli avanti se la cavano bene nel ruolo di mezzali, devono assimilare i movimenti del centrocampista. Nella “Primavera” atalantina, più di una volta gli capita di giocare arretrato, in fase di interdizione e di appoggio. E, parecchie volte, si trova nella necessità di andare a coprire gli spazi fra i terzini, quando qualcuno di questi avanza sulla fascia e lo costringe a prendere in consegna l’attaccante avversario liberato dal movimento del compagno. Il tecnico è Ilario Castagner che, capite al volo le attitudini del giovane, lo schiera da libero. Diventa titolare e, con Castagner prima e con Rota poi, matura sempre meglio, assimilando esperienza ed applicando agli avversari, in senso contrario, quei concetti che lui ha espletato nel ruolo di attaccante. Nel 1972 il debutto in prima squadra, al posto dell’infortunato Savoia e Scirea finisce per giocare 20 partite. Come libero, viene schierato solamente 5 volte; le altre un po’ da mezzala ed un po’ da mediano. Tra i tanti osservatori, c’è Romolo Bazzotto; il suggerimento di tenere Scirea sotto osservazione pare sia partito dall’ex bianconero Bonci. Fatto sta che qualcuno lo dice a Gaetano ma lui, timido e semplice, pur guardando alla Juventus con occhio languido, non riesce a crederci. Invece, a fine maggio del 1974, tornando a casa da un allenamento, viene raggiunto da una telefonata: «Guarda che sei della Juventus». Lui pensa ad uno scherzo ma, arrivato a casa trova l’intera famiglia in agitazione. Fu una festa, e ci scappò anche il brindisi, confessa lui ancora emozionato al ricordo. Poi le visite, la conferma, l’appuntamento al ritiro del 29 luglio. «Mi ricordo che non volevo scendere dalla macchina sulla quale mio fratello mi aveva accompagnato». Ed il fratello dovette quasi tirarlo giù di peso. A Villar Perosa viene messo in camera nientemeno che con Bettega. È troppo per un ragazzo semplice, ma con i piedi per terra come Scirea. L’ingresso in squadra, dopo la preparazione lo ricorda con sofferenza: «La prima partita in coppa Uefa, mi faccio male alla caviglia. Così, appena cominciato, sono stato costretto a fermarmi per due partite in campionato». Ma, pagato quello scotto, Scirea gioca ben 89 partite consecutive, partecipando alle emozioni ed alle gioie degli scudetti più brillanti, quello dei 51 punti ed alla conquista della Coppa Uefa. E, ad ogni partita, l’impegno per essere sempre all’altezza della situazione. «Giocare libero è un impegno continuo. Devi controllare tutti e nessuno. Devi possedere un intuito eccezionale. Capire quando il terzino parte avanti e prendere subito in consegna l’attaccante che resta incustodito, tenendo ben presente lo spazio dal quale possono venirti le sorprese del contropiede. Poi, quando intervieni, devi cercare non solo di liberare l’area, ma appoggiare il gioco in maniera da far ripartire i tuoi; semplice da dire, ma provate a farlo, quando il gioco è veloce e tutti sono in condizione di metterti in difficoltà». Ma, per lui, nulla sembra essere eccezionale, dal momento che ha imparato a misurare con il metro del buonsenso ogni fatto della vita, da quella intima di casa, a quella professionale di giocatore di calcio. «Così riesco a far durare di più il piacere delle cose buone e ben fatte e tengo sempre davanti alla mente che, se rifletto un pochino di più sugli errori, posso evitare di ricadervi». Quattordici anni di Juventus. Una scelta di vita che lui commenta così: «Certo che avrei potuto anch’io, con l’arrivo dello svincolo, spuntare contratti faraonici, ma di squadre come questa ce n’è una sola. Ed io preferisco concludere la mia carriera alla Juventus. Senza fretta, però, ho il conforto dell’esempio di Zoff, un uomo che mi ha insegnato a non guardare indietro». Ha vinto tutto: 7 scudetti, 2 Coppe Italia, Supercoppa, Coppa Intercontinentale, Coppa dei Campioni, Coppa Uefa e Coppa delle Coppe, senza dimenticare il Mundial spagnolo. Ha sempre giurato di divertirsi troppo in campo, ogni partita è un avvenimento che lo affascina, aver tagliato tutti i traguardi possibili non l’ha mai accontentato. Alla Juventus deve sostituire Salvadore. «Provavo tanta gioia ma spesso scendevo in campo con le gambe che tremavano», ricorda, «mi ha aiutato la squadra vincendo lo scudetto, il mio inserimento non poteva coincidere con miglior risultato». Il 1976-77 è forse la stagione più esaltante della Juventus ultimo decennio: quella dello scudetto dei 51 punti e del primo grande successo europeo, la Coppa Uefa. «Era la Juventus che dava sette od otto giocatori alla Nazionale. Una Juventus splendida, costruita da Boniperti pezzo su pezzo, da grande intenditore». La Juventus che ha consegnato a Bearzot la nazionale d’Argentina. «Per due volte ha capito che nel calcio non si finisce mai di imparare. È stato quando, dopo aver vinto lo scudetto con Parola, l’anno successivo, a sette giornate dalla fine, con cinque punti di vantaggio rispetto al Torino la squadra perse tre partite di seguito e consegnò il titolo ai cugini granata. E, più grande di tutte, la delusione di Atene, la Juventus più bella, quella che era giunta in finale dominando squadroni come Widzew Lodz, Aston Villa e Standard Liegi». La Juventus gli ha dato molto, gli ha spalancato le porte della Nazionale. «Ma è facile arrivare a certi livelli, il difficile è restarci», raccomanda sempre Scirea. E non dimenticherà mai che insieme a lui, in Nazionale, cominciò Rocca: «Ecco, lui è il caso sfortunato, quello che dimostra come sia tutto così aleatorio. In quel momento era una pedina inamovibile, un esempio per me e tanti altri che si affacciavano alla maglia azzurra». Gaetano Scirea è anche un buon marito, un buon padre, ama il cinema e pratica il tennis, sport preferito dell’estate. La famiglia è la sua «oasi di pace, il rifugio di chi vive nel frastuono del mondo dello spettacolo». Ogni partita ha una sua fisionomia per cui, al termine di ogni incontro, Scirea si sente in dovere di analizzare, per conto suo, ogni azione giocata. «E mi critico e mia moglie mi critica ancora di più. Ma, devo dire, che i suoi interventi mi sono di aiuto, perché parla con serenità e la serenità ritrovata in casa, è il miglior sistema per distendersi. Ho sposato una juventina che mi ha portato una famiglia deliziosa. Ho imparato tante belle cose del Vecchio Piemonte, compreso il culto del vino buono, che ho imparato a fare da mio suocero nel Monferrato. Quando posso aiuto in cantina. Ma mi hanno detto che sono più bravo a fare il calciatore». «Mio marito», racconta Mariella, «ha una qualità/difetto grossa come una casa, la modestia. Lui dice che, a volte, parlo come un direttore sportivo ma, secondo me, dovrebbe farsi valere di più. È testardo, poi crede di essere preciso, mentre non lo è per niente. Quante volte Gai, dopo l’allenamento, mi piombava a casa all’ora di pranzo con quattro sconosciuti. Diceva: “Mariella, questi signori hanno fatto centinaia di chilometri per venire a vedere la Juve e ho pensato che dovevano pur mangiare qualcosa”. Ecco, questo era Gaetano Scirea fuori dal campo». Ma Scirea rimane soprattutto un calciatore onesto e felice: «Perché ho amato questo sport fin da piccolo e sono riuscito a fare questo mestiere». Il destino ce lo ha portato via il 3 settembre 1989, in una strada polacca; nulla è più atroce che morire giovani. Per Mariella e Riccardo, una scatola piena di ricordi e l’esempio di un uomo e di un padre che non potrà mai essere dimenticato.
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