Tutte le partite ufficiali della stagione |
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N |
17 |
32 |
8 |
8 |
1 |
28 |
12 |
T |
La Juventus dal 1900 ad oggi |
Gare ufficiali |
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Serie A |
4.580 |
Giocate |
3.089 |
2.508 (54,76%) |
Vittorie |
1.699 (55,00%) |
1.173 (25,61%) |
Pareggi |
837 (27,10%) |
899 (19,63%) |
Sconfitte |
553 (17,90%) |
8.194 |
Fatti |
5.378 |
4.459 |
Subiti |
2.910 |
C. Europee |
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Era 3 pti (uff.) |
512 |
Giocate |
1.558 |
281 (54,88%) |
Vittorie |
927 (59,50%) |
113 (22,07%) |
Pareggi |
370 (23,75%) |
118 (23,05%) |
Sconfitte |
261 (16,75%) |
871 |
Fatti |
2.737 |
472 |
Subiti |
1.378 |
Tutti i numeri della Juventus |
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Pubblicato il 07.04.2010
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Pietro Anastasi
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di Bidescu
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Dissero subito: «Come calciatore è un paradosso». Avevano ragione: la lacuna più evidente finiva per essere la sua arma segreta; risolveva i problemi creati dal palleggio incerto con uno scatto ed una velocità impressionante. Lo stop appariva sempre o quasi, approssimativo, ma lui riusciva a raggiungere la palla prima degli avversari. Pietro Anastasi, è stato un centravanti importante sia per la Juventus, che per la Nazionale ed, a lungo, ha rappresentato un modello per i giovani del più profondo Sud alla ricerca di quell’affermazione sportiva che, ogni tanto, diventa vero riscatto sociale. Nasce a Catania il 7 aprile 1948, la famiglia non è ricca. «Sette persone in due stanze», ha raccontato un giorno. Come per altri ragazzi, il suo primo problema fu la scuola, visto che non gli piaceva. Un giorno in classe ed un altro in piazza con una palla fra i piedi spesso nudi per non rovinare le scarpe. Poi il calcio diventò la sua ragione di vita. La carriera fu rapida e, naturalmente, il successo arrivò presto. Due anni nella Massiminiana (girone F della serie D) e trasferimento al Varese nel 1966. Due stagioni in Lombardia e poi la Juventus che vinse la serrata concorrenza dell’Inter: fu pagato un prezzo record, 660 milioni. È il 1968, un anno magico per il calcio italiano. In Italia si disputa il campionato d’Europa e, per la Nazionale è l’occasione per tornare fra le grandi potenze del calcio. La sera di sabato 8 giugno, allo stadio Olimpico, l’Italia è in finale contro la Jugoslavia. Anastasi esordisce in azzurro, ma non si distingue in una squadra che non soddisfa. Il pareggio 1 a 1 è un premio immeritato per i nostri colori, ma due giorni più tardi, nella finale-bis, c’è una prova d’orgoglio degli italiani. È il trionfo: goal di Riva e, bellissima, in mezza rovesciata, la replica di “Pietruzzu”. Molto intuito, nel gioco di questo calciatore, molto genio e, purtroppo, anche molta sregolatezza: sarà il suo limite. Due anni più tardi, è atteso con curiosità al Mundial messicano. È in gran forma, ma uno stupido incidente lo costringe al forfait poche ore prima della partenza. Lo sostituisce Roberto Boninsegna che, più tardi, prenderà il suo posto anche nella Juventus. Partecipa anche al Mondiale del 1974 ma, a quel punto, la carriera di Pietro è già verso l’epilogo. In Nazionale giocherà 25 gare ed in totale realizzerà otto volte. «Le mie qualità migliori erano lo scatto, la velocità e l’altruismo. E seppur scendessi in campo, anche in Nazionale, con la maglia numero nove, spesso mi posizionavo sulla sinistra, per effettuare dei cross a favore del compagno di reparto. Insomma, ero un uomo d’area che sapeva anche manovrare». Quando, per la prima volta, arriva in Galleria San Federico, sede juventina, è senza cravatta, ed il presidente di allora, Vittore Catella, lo avverte: «Quando si presenta in sede sarà bene, d’ora in avanti, che si vesta con regolare camicia e cravatta». Ma il contratto è buono e la cifra concordata anche. L’allenatore è Heriberto Herrera, il “ginnasiarca”, uno che non cerca e non concede simpatia. Ad Anastasi, che in allenamento non riesce ad interpretare uno dei tanti schemi, una volta urla, davanti a compagni, giornalisti e tifosi: «Tonto, stia a guardare, perché lei non capisce niente !!!» È un rapporto, questo con la Juventus, che non sarà mai sereno. Quando torna a segnare con una certa continuità, allo stadio compare uno striscione: “Anastasi, il Pelè bianco”. Le cifre: 302 partite e 129 goals, il 1971-72 è l’anno del suo primo scudetto, subito bissato l’anno seguente. Il terzo tricolore lo conquista nel 1974-75, sempre in bianconero, naturalmente. Lascia la Juventus per l’Inter, nel 1976-77, poi l’Ascoli e l’addio ai campi di calcio con un bilancio brillante. Anni dopo disse: «Andai via, perché ebbi un litigio con Parola, dopo una trasferta in Olanda, ma con la società sono sempre rimasto in ottimi rapporti. Alla Juventus è dove mi sono trovato meglio e rimarrò sempre un tifoso juventino». Il racconto di Alberto Fasano, su “Hurrà Juventus” dell’aprile 1981: Anastasi, detto “Pietruzzo” è stato forse il caposcuola, il pioniere dei calciatori che dal Sud sono arrivati al Nord per fare fortuna. Non tutti sanno che a determinare il destino di Pietro Anastasi fu, probabilmente, una donna incinta presentatasi all’aeroporto di Catania e supplicando che la lasciassero partire anche se non aveva un posto sull’aereo, perché doveva assolutamente recarsi a Milano. Quel gentiluomo che era Casati, allora general manager del Varese, le concesse il suo posto, accettando di partire la sera dopo. Lunedì pomeriggio Casati si recò al “Cibali” per assistere ad una partita tra squadre ragazzi; in una di quelle squadrette giocava un certo Pietro Anastasi. Casati lo osservò attentamente e l’affare venne concluso in poche ore. “Pietruzzo” si comperò una giacca nuova ed una valigia fiammante per salire al Nord. Divenne famoso a suon di goals, iniziando la carriera proprio nelle file del Varese. D’acchito il “picciotto” vinse la propria battaglia, quella contro il mostro del Nord, cioè il gelo, l’indifferenza, l’incomunicabilità. Vinse senza mai sottrarsi al pericolo di certe battaglie, ma affrontandole a viso aperto anche quando sapeva di rischiare grosso. Doveva finire all’Inter, ma Gianni Agnelli soffiò il giocatore a Fraizzoli e lo vestì in bianconero quando già era stato fotografato in nerazzurro per la gioia illusoria dei tifosi interisti. Alla Juve fece fortuna e venne idolatrato dalla folla: era il centravanti che nelle iperboli tifose si vide etichettare come “Superpietro”, “Pelé bianco” o cose simili. La sua figura si installò in paradossali “ex voto” sportivi e venne ripetuta per centinaia di pose fotografiche in alloggi torinesi, in case siciliane, dietro il letto, sulla porta della cucina, alla sommità di cassettoni e credenze. Allo stadio “Comunale”, in maglia bianconera, cominciò non la vita, ma la leggenda popolare di “Pietruzzo”. Robusto, seppur piccolo, veloce e sgambettante, carico di fantasie da cortile, un acrobata istintivo: questo il giocatore. Come ragazzo era simpatico, ingenuo, modesto, con qualche improvvisa punta d’orgoglio. Quando nel 1968 arrivò alla Juventus aveva solo venti anni e tanto entusiasmo. Lo gelarono subito, anche se si era in piena estate: il presidente Catella, piemontese di stampo antico, lo strigliò subito per aver osato presentarsi al raduno senza cravatta. Così lui, che era arrivato al primo appuntamento con la “Vecchia Signora” timido e sorridente, se ne andò con gli occhi rossi. Né quelle lacrime furono le ultime. A settembre, la lezione tattica di Heriberto Herrera gli gonfiò di nuovo gli occhi di pianto. Per fortuna, quando era sul campo tutto filava a gonfie vele: 28 partite, 14 goals, tre in più che la stagione precedente nel Varese. Nemmeno la gloria (con tanto di maglia azzurra della Nazionale ed un titolo di campione d’Europa) è stata un passaporto sufficiente per l’amicizia: si sentiva scartato, isolato e così si chiudeva sempre più in sé stesso. La sua ombrosità, logica conseguenza della difficoltà di comunicazione, veniva scambiata per selvatichezza e qualcuno ci ricamava sopra, sino all’insulto. La stagione successiva le faccende calcistiche andarono ancora meglio: 29 partite, 15 goals. Ma a fine campionato la fortuna gli voltò le spalle: alla vigilia della partenza della squadra nazionale per il Messico, dove erano in programma i Campionati del Mondo, Pietro venne colto da violenti dolori. Fu ricoverato in clinica ed operato. Addio Nazionale, addio mondiali. La sfortuna continuò poi a perseguitarlo, non ritrovò più per la successiva stagione lo smalto dei giorni migliori, segnò soltanto sei reti, perdendo anche quei pochi amici di passaggio che era riuscito a racimolare. Ma la straordinaria forza di volontà lo tenne a galla, in attesa di giorni migliori, del successo definitivo. Fu proprio allora che Anastasi iniziò un processo irreversibile, quello che fece di lui un autentico uomo, un personaggio di successo. L’introverso “picciotto”, ex raccattapalle del “Cibali”, egoista in campo, scontroso fuori, aveva finalmente imparato a comunicare, dentro e fuori del calcio, fino a diventare un protagonista: Campione d’Italia, uno dei migliori, un autentico leader. Pietro ricorda ancora quel periodo: «Sì, me lo dicevano tutti ed anch’io dovevo constatare il cambiamento, il miglioramento. Ma una ragione precisa non c’era, al di là del fatto che con gli anni ero un po’ maturato. Quando ero arrivato alla Juventus, diffidavo di tutti, dei giornalisti in particolare. In campo pensavo solo a mettermi in luce, al tornaconto personale. Poi diventò tutto diverso e mi accorsi che contava prima la Juventus e poi Anastasi; per la squadra ero disposto a fare qualsiasi sacrificio». Sicuramente gli giovò molto il matrimonio, placandone la scontrosità e regolandone gli eccessi gastronomici: «A me piacevano i cibi piccanti, la cucina siciliana; molti miei periodi non positivi furono determinati da una pessima condizione fisica, conseguenza di disturbi intestinali. Un giorno decisi di abolire salumi e salse piccanti; la salute tornò e la condizione tecnica ne trasse giovamento». Poi la moglie, Anna Bianchi, gli regalò due figli ed altri importanti equilibri vennero conquistati. Fu quello il periodo migliore della sua carriera, quello in cui riuscì a riconquistare stabilmente il posto in Nazionale, arrivando poi a collezionare ben 25 gettoni di presenza. Vinse lo scudetto al termine della stagione 1971-72 (giocando tutte e 30 le partite) e fece il bis nel 1972-73, giocando 27 gare su 30; il terzo titolo di campione d’Italia arrivò al termine della stagione 1974-75, anno in cui Pietro giocò 25 partite. Il divorzio dalla Juve avvenne nel corso della stagione 1975-76. Ritenendo di essere stato preso di mira dall’allenatore Parola, il “picciotto” si lasciò andare a roventi e polemiche dichiarazioni nella settimana precedente un delicatissimo “derby” con il Toro. La Juventus era stata sconfitta a Cesena e stava preparandosi a disputare l’incontro con il Torino. Anastasi, dopo un allenamento al “Combi”, improvvisò una conferenza stampa, nel corso della quale vuotò, come si suol dire, il “suo” sacco, pieno di livore ed incomprensioni. Un attacco preciso verso l’allenatore Parola e certi compagni di squadra. Come è nel proprio stile, la Juventus tolse di squadra Anastasi il quale, nella stagione successiva, venne ceduto all’Inter in cambio di Boninsegna. Tutti i tifosi bianconeri ricordano ancora le notizie sensazionali apparse sui giornali di quel 9 luglio 1976. La Juventus annunciava il trasferimento di Anastasi alla società nerazzurra che cedeva ai bianconeri il centrattacco Boninsegna, con l’aggiunta di 750 milioni. Contemporaneamente Capello veniva ceduto al Milan e la Juve aveva in cambio Benetti più cento milioni. Un’operazione sensazionale che portava la Juve sulla strada di altri trionfi. Anastasi, dopo l’Inter, approdò ad Ascoli. Forse era anche il traguardo cui Pietruzzo anelava, dopo aver perso la gloria della casa bianconera. Ascoli ha rappresentato la tranquilla città di provincia dove il “Pelè bianco” sta oggi per terminare la sua lunga e tormentata carriera. Da Catania a Varese, da Varese alla Juve, poi all’Inter ed infine all’Ascoli: una carriera da emigrante, ma con la solida soddisfazione di aver guadagnato molto e di aver contato qualcosa in questo sport che sovente uccide gli idoli. Anche all’Ascoli il “picciotto” ebbe momenti di autentico fulgore e di gloria. Con la maglia della squadra marchigiana ebbe anche la soddisfazione di consumare la sua piccola vendetta verso quella Juventus che, sono parole sue, «avevo amato come nessuna altra cosa al mondo, per un calciatore !!!» Il 30 dicembre 1979 l’Ascoli venne a giocare al “Comunale”: Pietro Anastasi sul suo campo, contro la sua Juventus. Il centrattacco, da lungo tempo, era fermo al goal numero 99; sperava di trovare il centesimo goal proprio contro la Juventus e l’impresa gli riuscì. Dopo otto minuti di gioco, con una elevazione felina, colpì la palla di testa e la depositò alle spalle di Dino Zoff. L’Ascoli doveva poi vincere per 3 a 2 l’incontro, mettendo in crisi la Juve. Una crisi passeggera, s’intende. La Juventus è rimasta nel cuore di Pietro Anastasi, nulla al mondo potrà cancellarne il ricordo. Abbiamo visto recentemente Anastasi ed abbiamo parlato dei tempi felici in cui guizzava come un fulmine verso la rete avversaria e mandava in delirio i suoi fans con i goals più pirotecnici e brasiliani. Anastasi ricorda tutto e tutti, la sua amicizia con Bettega, l’unico che seppe in certo qual modo sgelarlo dal mondo di diffidenza ed incomprensione in cui era vissuto per molti anni. Della città di Torino, in fondo al cuore, ha una certa nostalgia. Forse si rivede ragazzo, correre disperatamente dietro ad un pallone, su un prato d’erba ispida, sotto il cocente sole di Sicilia. Forse ricorda il giorno in cui sbarcò a Torino e la leggenda si colorì con i toni di una ballata da cantastorie. Nel formicolio delle mansarde, degli agglomerati umidi delle periferie abitate dalla gente della sua terra, il “Pelé bianco” riuscì a portare lume con le sue acrobazie e con il suo nerissimo ciuffo di capelli. La gloria arrivò presto e lo sistemò su un solido piedistallo. Pietro sa che la gloria aveva un nome: Juventus. Per questa ragione non ha mai dimenticato la società bianconera ed i tifosi che dalla curva “Filadelfia” urlavano il suo nome: “Pietro, Pietro !!!”
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