Tutte le partite ufficiali della stagione |
G. |
Pti |
Vit |
Par |
Sco |
Fat |
Sub |
|
13 |
24 |
6 |
6 |
1 |
22 |
9 |
C |
10 |
18 |
4 |
6 |
0 |
17 |
8 |
F |
0 |
0 |
0 |
0 |
0 |
0 |
0 |
N |
23 |
42 |
10 |
12 |
1 |
39 |
17 |
T |
La Juventus dal 1900 ad oggi |
Gare ufficiali |
|
Serie A |
4.586 |
Giocate |
3.092 |
2.510 (54,73%) |
Vittorie |
1.699 (54,95%) |
1.177 (25,67%) |
Pareggi |
840 (27,17%) |
899 (19,60%) |
Sconfitte |
553 (17,88%) |
8.205 |
Fatti |
5.383 |
4.464 |
Subiti |
2.915 |
C. Europee |
|
Era 3 pti (uff.) |
514 |
Giocate |
1.564 |
282 (54,86%) |
Vittorie |
929 (59,40%) |
114 (22,18%) |
Pareggi |
374 (23,91%) |
118 (22,96%) |
Sconfitte |
261 (16,69%) |
873 |
Fatti |
2.748 |
472 |
Subiti |
1.383 |
Tutti i numeri della Juventus |
|
Pubblicato il 26.03.2010
|
Napoli - Juventus 3 - 1 - LA JUVE CHE AMO ... E LA JUVE DI OGGI
|
di Antonio La Rosa
|
Chi si aspetta un commento alla gara di giovedì sera rimarrà forse deluso, perché stavolta voglio fare un po’ di retrospettiva bianconera, raccontare invece di una gara disputata dalla Juventus in una annata tra le sue meno brillanti, finita (per dirla come si usa adesso) con “zeru tituli”, dopo altre ugualmente concluse dai bianconeri all’asciutto. Un pomeriggio di novembre, a Torino arrivava il Napoli degli anni d’oro, quello che annoverava Maradona, Careca, e tanti altri giocatori di valore, alcuni Nazionali, come Andrea Carnevale, insomma una squadra che al solo leggere la formazione, le avversarie venivano prese dalla tremarella. La Juventus arrivava a quella partita dopo un andamento diremmo “altalenante”, ancora imbattuta ma con punti già persi in casa contro avversarie non certo insormontabili, e praticamente quella gara era per certi aspetti la gara della verità, nel senso che avrebbe detto quali potessero essere le reali potenzialità di una squadra nata con molto scetticismo durante l’estate. Ed effettivamente il primo tempo di quella partita fu quasi da incubo, i bianconeri non giocarono poi tanto male, ma quel Napoli era decisamente di livello superiore, ogni azione offensiva si tramutava in rete, e si andò negli spogliatoi con un eloquente 0 – 3, che non faceva presagire nulla di buono per la ripresa, semmai il rischio di una goleada epica a danno dei bianconeri. La Juventus però rientrò in campo con quell’orgoglio di chi sa che alle sue spalle ha una storia leggendaria, e dunque non può arrendersi così facilmente, ma deve reagire e provarci fino alla fine a raddrizzare il risultato. In dieci minuti la gara cambiò letteralmente volto, da 0 – 3 a 2 – 3, Napoli letteralmente imbambolato e Juventus arrembante, incontenibile. Naturalmente i valori erano quelli che erano, e nella foga di raggiungere il pareggio, i bianconeri concessero al Napoli un micidiale contropiede, che consentì a Careca di realizzare il suo terzo gol personale e quarto per i partenopei. Gara chiusa? Ma neanche per sogno. La Juventus tornò ad occupare stabilmente la metà campo avversaria, e grazie a quella pressione costante quanto asfissiante, riuscì anche a procurarsi un calcio di rigore, che venne trasformato da De Agostini, e dunque gara nuovamente riaperta. E gara che rimase in bilico fino a qualche minuto dal termine, quando, sempre per un contropiede, fu il Napoli a procurarsi un calcio di rigore, che Renica trasformò chiudendo praticamente la gara. Al termine di quella partita, da tifoso juventino, mi sentii deluso per il risultato finale, ma orgoglioso della prestazione della mia squadra del cuore, che aveva messo tutto quanto a sua disposizione, sudore, fatica, coraggio, orgoglio, per non arrendersi ad una avversaria che era davvero una formazione quasi inavvicinabile. Fu la gara che mi portò ad amare quella Juventus, che ancora oggi sento più “mia”, rispetto a tante altre formazioni anche più forti e vincenti, perché in quella gara e in quel campionato vidi realmente cosa fosse lo spirito bianconero. Per chi non l’avesse capito (ma ne dubito), sto parlando della Juventus 1988 – 89, squadra che vide l’esordio di Dino Zoff in panchina e Gaetano Scirea come allenatore in seconda: squadra che dei mitici campioni degli anni precedenti annoverava soltanto gli anziani Tacconi, Brio, Cabrini; che come stranieri schierava Rui Barros e Zavarov, poca cosa rispetto a Maradona e Careca del Napoli, a Gullit e Van Basten del Milan, a Matthaeus e Brehme dell’Inter; che aveva tra le sue fila un Laudrup con la testa ormai al Barcellona, un Altobelli preso nella speranza di ripetere l’esperienza di Boninsegna, ma ormai al capolinea, un Pasquale Bruno che era costantemente a rischio espulsione per il suo modo di giocare, un Massimo Mauro grande ala ma grandissimo pure nella discontinuità di rendimento, un Renato Buso promessa non mantenuta, un Marino Magrin rimasto celebre solo per il paradosso di avere indossato la maglia n. 10 dopo Michel Platini; insomma una Juve che come gente di reale valore schierava solo Gigi De Agostini e Giancarlo Marocchi. Bene, quella Juve modesta tecnicamente, nettamente inferiore alle concorrenti, non si fece mai sopraffare dalle concorrenti: al ritorno si sarebbe presa una bella rivincita al San Paolo, con un eloquente 4 – 2 che di fatto mise fuori causa il Napoli dalla lotta scudetto; contro l’Inter dei record di Trapattoni conseguì due pareggi in campionato, e al Meazza non fece bottino pieno anche per un gol inopinatamente annullato che, a maglie invertite, oggi sarebbe famoso come il celebre contatto Iuliano – Ronaldo; in Europa raggiunse i quarti di finale, scontrandosi, ancora una volta, con i partenopei, uscendone eliminata solo all’ultimo minuto del tempi supplementari, in una gara che la vide in inferiorità numerica per tutta la ripresa e i supplementari. “Zeru tituli”, certo, ma un impegno ed un attaccamento alla maglia da elogiare. Fu questa la ragione per cui sentii più “mia” quella Juve, perché secondo me, più di ogni altra formazione bianconera, quella dimostrò sul campo che quando ci si chiama Juventus, non si deve essere mentalmente secondi a nessuno, e anche se gli avversari sono più forti, debbono davvero scavalcare ostacoli quasi insormontabili per battere una squadra che porta la gloriosa divisa bianconera. Da tifoso, mi ero avvicinato ai colori bianconeri per l’arrivo in bianconero del nostro mito dell’epoca, Pietro Anastasi, ma non erano annate straordinarie, anche se arrivammo a lottare per lo scudetto contro il grande Cagliari di Gigi Riva. Poi vennero gli anni d’oro di Boniperti, nove scudetti in quindici anni, tutte le coppe internazionali vinte, due finali importanti perse, una delle quali con l’Ajax di Crujiff, e come tutti, avevo dimenticato cosa significasse tifare Juventus negli anni di vacche magre. Che poi sono gli anni nei quali i colori della squadra del cuore si finiscono con l’essere amati ancora di più, a patto però che chi li indossa capisca cosa voglia significare indossare la maglia che nel tempo è stata indossata da gente come Hirzer, Munerati, Orsi, Caligaris, Hansen, Boniperti, Sivori, Charles, Zoff, Bettega, Scirea, Platini, etc.. Ecco, questa è la Juve che amo e che credo ameremmo tutti anche se non ottenesse i risultati sperati. Adesso quello che ho scritto finora, provate a rovesciarlo nei suoi contenuti, e avrete il mio commento alla partita di ieri sera tra Napoli e un gruppo di giocatori scesi in campo dimenticandosi della maglia che indossavano, eccettuati solo un paio, Chiellini e Marchisio.
Postilla: Giorni fa leggevo che nel Consiglio di Amministrazione del gruppo editoriale RCS (Rizzoli – Corriere della Sera), sono entrati, tra gli altri, Cesare Geronzi (Capitalia), Diego Della Valle, Luca Cordero di Montezemolo, Marco Tronchetti Provera. Come sapete bene, questo gruppo è l’editore, oltre del Corriere, anche della Gazzetta dello Sport: e non so perché in questi nomi ed in questo consiglio di amministrazione vedo la forca per la società chiamata Juventus Football Club di Torino. E chi ne beneficia è appunto il presidente della società nerazzurra, legato in affari con Della Valle, finanziato da Tronchetti Provera, che a sua volta finanzia il calcio. Con Montezemolo a trarne beneficio per il suo prestigio e la sua Ferrari: con la differenza che lui prende molto più di trenta denari, e non pensa affatto di farsene un rimorso.
E-mail: antonio_larosa{chiocciola}msn.com
|
|
|
|