Tutte le partite ufficiali della stagione |
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N |
16 |
31 |
8 |
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28 |
12 |
T |
La Juventus dal 1900 ad oggi |
Gare ufficiali |
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Serie A |
4.579 |
Giocate |
3.088 |
2.508 (54,77%) |
Vittorie |
1.699 (55,02%) |
1.172 (25,60%) |
Pareggi |
836 (27,07%) |
899 (19,63%) |
Sconfitte |
553 (17,91%) |
8.194 |
Fatti |
5.378 |
4.459 |
Subiti |
2.910 |
C. Europee |
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Era 3 pti (uff.) |
512 |
Giocate |
1.557 |
281 (54,88%) |
Vittorie |
927 (59,54%) |
113 (22,07%) |
Pareggi |
369 (23,70%) |
118 (23,05%) |
Sconfitte |
261 (16,76%) |
871 |
Fatti |
2.737 |
472 |
Subiti |
1.378 |
Tutti i numeri della Juventus |
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Pubblicato il 13.01.2009
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I sei minuti di Rivera
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di Bidescu
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Città del Messico, maggio 1970; la nazionale Italiana è alloggiata a Chapultepec, zona di Las Lomas, per preparare i Mondiali. La nostra nazionale è ritenuta una delle favorite per la vittoria finale, vantando l’invidiabile ruolino di 21 partite utili sulle ultime 22 disputate e, soprattutto, il titolo di campione d’Europa conquistato nel 1968. Chi presiede il Settore Tecnico è Walter Mandelli, uno dei piemontesi arrivati in Federazione nel biennio di presidenza del giovane Umberto Agnelli. Ma solo da qualche mese ha ufficialmente assunto il comando delle operazioni: è lui che tiene le conferenze stampa ed è lui ad essere convinto che le vittorie si ottengono, non solo sul campo, ma anche con la gestione dei rapporti con i giornalisti, con la squadra, con i dirigenti internazionali e con gli arbitri. L’allenatore è Ferruccio Valcareggi, un triestino di grande saggezza e competenza trapiantato a Firenze, di fibra forte e carattere mite; ha giocato il calcio a livello accettabile e, da allenatore, ha fatto esperienza fra Atalanta e Fiorentina preferendo poi il meno brillante, ma più sicuro, stipendio della Federazione. Valcareggi vive in simbiosi calcistica con il nuovo presidente federale, il fiorentino Artemio Franchi, il quale gli consiglia di dare carta bianca a Mandelli, in modo che, in caso di tempesta, sarà questo parafulmini a bruciare, salvando i due fiorentini. E la tempesta arriva: in una conferenza stampa, Gianni Rivera, fa esplodere la sua rabbia: «Da quello che ho capito, mi vogliono far fuori, il perché non lo conosco. Questioni tattiche ??? Sapete che non le capisco». Lo sfogo è torrenziale, non c’è tempo neanche per far domande. «Finora il titolare ero io, quando sono stato convocato, ho sempre giocato e non mi pare di avere sbagliato le ultime partite. Comunque, se vogliono togliermi di mezzo sono liberi di farlo, ma dovrebbero avere il coraggio di dirmelo in faccia. Sono convinto che, se ci fosse solo Valcareggi alla guida della Nazionale, certe cose non accadrebbero». Perché Rivera esplode a cinque giorni dall’esordio dell’Italia contro la Svezia a Toluca ??? Basta un’ipotesi di esclusione per spiegare una così clamorosa ed aggressiva reazione ??? Se è Sandro Mazzola ad indossare la sua maglia, la risposta è affermativa. I due sono da quattro anni protagonisti e vittime di un’autentica guerra di “religione”, che li rende ancora più rivali di quanto dovrebbero. Interisti contro milanisti, offensivisti contro difensivisti, “mazzoliani” contro “riveriani”. Due leader, due correnti critiche, due clan schierati muro contro muro. Dopo la disfatta contro la Corea del Nord erano tutti “abatini”; poi, a poco a poco, l’insolente etichetta è rimasta al solo Rivera. Curiosamente, la coppia dei migliori calciatori italiani è una miccia perennemente accesa sotto la panchina del tecnico azzurro. Nonostante la tregua per la conquista dell’Europeo nel 1968, divampano furiose battaglie: come, per esempio, quella della maglia numero sette, che tanto Mazzola quanto Rivera sdegnosamente rifiutano. La crisi di coesistenza si aggrava alla vigilia del Mondiale messicano, quando Mazzola considera finita la sua missione di centravanti ed annuncia la nuova vocazione di rifinitore centrocampista: guarda caso, proprio il ruolo di Rivera. Valcareggi fa finta di non capire e qualche mese prima del Mondiale lascia intendere che il centravanti per il Messico verrà scelto fra Mazzola ed Anastasi. I piani di Valcareggi saltano, non solo per la riluttanza di Mazzola ad indossare la maglia numero nove, ma anche per l’improvviso forfait di Anastasi, vittima, a ventiquattro ore dalla partenza, di una torsione del funicolo testicolare che richiede un intervento chirurgico d’urgenza ed un mese di riposo. Viene convocato, per telefono, alle cinque di mattina, Roberto Boninsegna. Insieme a “Bonimba”, venne convocato anche Pierino Prati, così i giocatori si trovarono in ventitrè, contro i ventidue consentiti dal regolamento. Uno avrebbe dovuto essere scartato e la scelta cadde su Giovanni Lodetti; soprannominato “Basletta”, Lodetti era il fido alfiere cento polmoni di Rivera, nel centrocampo milanista. Giovanni dovette rientrare in Italia a malincuore, ma i suoi guai non sarebbero finiti con quell’esclusione; infatti, il Milan decise di venderlo alla Sampdoria. «Non pensavo nemmeno lontanamente alla possibilità di cambiare squadra», racconta, «ma erano altri tempi, non c'erano procuratori, allora la società era padrona del tuo cartellino. Il colpo fu durissimo; mai mi sarei aspettata una cosa del genere, dopo tanti anni in rossonero. In più, passare improvvisamente dalla lotta per lo scudetto a quella per non retrocedere fu uno shock». Ma torniamo in Messico; Valcareggi dice subito, senza mezzi termini, che Mazzola e Rivera non potranno mai giocare insieme in quanto, secondo il suo parere, ricoprono lo stesso ruolo. A questo punto Mazzola “deve” essere schierato interno, considerato che il tandem d’attacco è formato da Boninsegna e da Riva, Rivera è fuori dalla formazione titolare, che è così composta: Albertosi; Burgnich, Facchetti; Bertini, Rosato, Cera; Domenghini, Mazzola, Boninsegna, De Sisti, Riva. Le prime tre partite sono una delusione: la nostra nazionale batte la Svezia con un goal di Domenghini, con “papera” clamorosa del portiere svedese Hellström, pareggia 0 a 0 contro Uruguay ed Israele. In quest’ultima partita viene annullato un goal di Domenghini per un inesistente fuorigioco, inventato dal guardalinee etiope Torrekegn. Il grande cronista Nicolò Carosio si sfoga contro questo guardalinee, chiamandolo “negraccio” e sarà sostituito per sempre da Nando Martellini. Valcareggi è costretto a far giocare Rivera, a causa di uno sfogo di Gigi Riva, il quale si lamenta per i pochi palloni che riceve durante la partita, ma il milanista non combina niente di buono. Nasce così la “staffetta”. Un’idea saggia e consapevole secondo Valcareggi e Franchi. Una pazzia secondo i due interessati, una “bestemmia” secondo i rispettivi tifosi di Sandro e di Gianni. Per un po’ comunque le cose vanno bene. Un tempo i guizzi di Mazzola, l’altro i lanci di Rivera e l’Italia va sempre avanti, pur senza strafare. Passato il girone di qualificazione, la nostra Nazionale, si trova nei quarti di finale il Messico. L’incontro è delicatissimo, perché si tratta di sfidare i padroni di casa ed il loro fantastico pubblico, ma gli azzurri non si spaventano: finisce in un trionfo, un 4 a 1 che ci fa uscire tra gli applausi. Ed anche la staffetta funziona a meraviglia, tanto è vero che Rivera segna anche un goal. Ma il capolavoro è fissato per il 17 giugno 1970, una delle giornate più luminose del gioco del calcio, il giorno di Italia-Germania Ovest. Di questa partita ormai si è detto tutto: l’alternanza del punteggio, il “tradimento” di Schnellinger che segnò il goal del pareggio tedesco, il litigio tra Albertosi e Rivera dopo il goal del 3 a 3 di Gerd Müller ed il fantastico colpo finale di Rivera stesso, per il magico goal del 4 a 3. Una cosa, però, è stata trascurata, e cioè l’importanza delle “staffetta”; anche quel giorno, se Rivera brillò, soprattutto nei tempi supplementari, buona parte del merito fu di Mazzola che nei primi 45 minuti giocò benissimo, sacrificandosi in uno sfibrante lavoro di copertura a metà campo. «Ora che sono trascorsi tanti anni», ha detto Mazzola, «posso dirlo senza timore di peccare di presunzione. Quel giorno disputai un primo tempo bellissimo e non meritavo certamente di uscire di squadra, basti dire che annullai il grande Beckenbauer e che lasciai i miei compagni in vantaggio per 1 a 0. Nella ripresa, invece, con Rivera in campo, fummo schiacciati dai tedeschi e subimmo il pareggio. Si sapeva che sarebbe entrato Rivera nel secondo tempo, ma non era deciso che dovessi uscire io. In mattinata Valcareggi aveva parlato con Boninsegna e con me, avvertendoci che uno di noi due sarebbe uscito. Non so perché sia toccato a me». Si dice che Mazzola fece fuoco e fiamme e che radunò i suoi compagni di squadra dell’Inter (Burgnich, Facchetti, Domenghini, Bertini) per chiedere il loro intervento in suo aiuto. Si dice anche che abbia posto un ultimatum a Valcareggi: o gioco tutta la partita o non scendo in campo. Sandro smentisce con fermezza questa versione pure accreditata da tanto tempo: «Non è vero. Non ho mai fatto questi discorsi al signor Valcareggi, né ad alcun altro allenatore. Io ero assolutamente sicuro di giocare soltanto metà di quella finale. Tanto che, quando tornai negli spogliatoi dopo il primo tempo, mi sedetti al mio posto sulla panca e cominciai a slacciarmi le scarpette. Mi vide Valcareggi, s’avvicinò e mi disse: ma lei, Mazzola, cosa fa ??? Mi cambio per la doccia, signor Valcareggi, non ho finito io ???? Ma no, ma no, lei gioca ancora. Abbassai la testa e mi riallacciai le scarpe. La frase “o mi fate giocare novanta minuti od è meglio che non mi chiamiate” la dissi due anni dopo a Carraro, e non al Commissario tecnico, quando mi fecero fare la staffetta con Rivera anche in una amichevole a Torino con la Jugoslavia. Mi ero stufato e dissi: decidetevi, od io o lui; a giocare sempre mezza partita non ci divertiamo nessuno dei due». E la staffetta svanisce; proprio dopo essersi dimostrata un’arma straordinaria, viene abolita sull’altare di un capriccio e di una rivalità personale. Contro il Brasile, infatti, Mazzola gioca tutti i novanta minuti; la sua partita è dignitosa, ma certo non eccezionale e comunque insufficiente a bloccare il grande Brasile dei cinque centravanti: Pelé, Rivelino, Jairzinho, Gerson e Tostao. Pelé, segna il primo goal della finalissima, saltando più alto di Burgnich, su un traversone perfetto di Rivelino. Il fotogramma di quello stacco e di quel colpo di testa è un’icona del calcio e dello sport intero; plasticità, potenza e forza. Arte pura; inutile il braccio testo di Burgnich, contro lo stacco portentoso di “O’ Rey”. L’Italia non si rassegna e pareggia con Boninsegna che sfrutta una colossale indecisione della difesa verdeoro. Primo tempo: 1 a 1. Milioni di persone in TV restano di sasso quando all’inizio del secondo tempo non vedono entrare Rivera. L’Italia a poco a poco crolla; al 21’ segna da fuori area Gerson con un tiro imprendibile a fil di palo. Gli azzurri accusano il colpo, la stanchezza dei tempi supplementari giocati in semifinale comincia a farsi sentire, i tifosi iniziano ad invocare Rivera. Al 26’ segna ancora il Brasile, con Jairzinho; a meno di un miracolo, la Coppa è del Brasile. Passano uno, due minuti e finalmente Valcareggi da l’ordine ad uno dei giocatori della panchina di togliersi la tuta. I tifosi pensano che sia Rivera ed invece dalla panchina si alza Juliano, che va a prendere il posto di Bertini. I minuti scorrono inutilmente e quando ne mancano solamente sei, ecco il gesto tanto atteso. Valcareggi richiama l’attenzione dell’arbitro Glockner e manda finalmente in campo Gianni Rivera. Nel cambio si sfiora la comica: Rivera non è pronto, s’è già slacciato le scarpe, perché la partita sta finendo, Mazzola si gira dall’altra parte e non guarda la panchina, ostentando la propria estraneità all’operazione. Vengono fatti cenni a Boninsegna, che esce facendo incavolatissimi gesti verso la panchina. E l’unico caso nella storia universale del calcio, in cui una squadra in pesante svantaggio, invece di aggiungere degli attaccanti per tentare il colpo di fortuna, ne toglie uno per rimpiazzarlo con un interno. Valcareggi si giustifica: «Ho rinviato di minuto in minuto l’inserimento di Rivera, perché avevo non solo Bertini con un leggero stiramento inguinale, ma anche Cera che stava male. Se anticipavo il secondo cambio, rischiavamo di restare in dieci». Il Brasile segna, con il terzino Carlos Alberto, il goal del definitivo 4 a 1. Rivera tocca quattro o cinque palloni e va sotto la doccia senza una goccia di sudore sulla fronte. Quando viene posta a Valcareggi la domanda sul motivo per cui Rivera è stato fatto entrare a sei minuti dalla fine, il C.T. risponde: «L’ho fatto, per dare anche a lui la soddisfazione di entrare nell’albo d’oro delle finalissime mondiali. In fondo, anche se l’Italia venne sconfitta, pensavo che gli sarebbe piaciuto poter dire un giorno “lo c’ero”. ». Ma nessuno lo ascolta, tutto il mondo sbigottisce e critica la gestione tecnica della squadra azzurra: da Pelé all’importante giornale sportivo francese “L’Equipe”, da Fulvio Bernardíni all’onorevole Carlo Felici, che presenta un’interrogazione alla Camera per sapere «se le decisioni dei tecnici azzurri siano state condizionate da contrasti insorti fra giocatori e dirigenti della Nazionale». Siamo campioni d’Europa e vice-campioni del mondo, eppure siamo riusciti a far diventare ugualmente drammatico il Mondiale. Mentre gli azzurri volano verso casa, si prepara l’invasione e la sassaiola di Fiumicino. Anche il tifo ha la sua escalation: se un’eliminazione negli ottavi per mano dei nord-coreani vale un lancio di pomodori, per bocciare dei vice-campioni mondiali battuti dal Brasile di Pelé ci vuole qualcosa di più serio. Saranno a migliaia (c’è chi parla, addirittura, di ventimila) i tifosi infuriati che accoglieranno gli azzurri al rientro dal Messico. Quando avvistano Valcareggi in un pullman, scoppia il finimondo. Lancio di sassi, finestrini infranti, ululati di sirene sulla pista, l’autobus che sfreccia a tutto gas verso un hangar dove trova rifugio. Il capannone viene stretto d’assedio; all’interno, giocatori spaventati, la figlia di Mandelli che piange perché colpita alla testa, ferito l’operatore televisivo Franco Tonini. Poco o nulla si sa di tutto questo, mentre Walter Mandelli, che con un altro troncone della comitiva ha raggiunto, protetto a fatica dalle pressanti minacce della folla inferocita, l’edificio dell’aerostazione, tiene una conferenza con alcuni azzurri nella sala stampa di Fiumicino. Imperturbabilmente argomenta: «Non si può negare che, conquistando il secondo posto, siamo andati oltre ogni previsione. E devo confessare che non ci diamo pace per l’occasione perduta». Meno ancora si danno pace i tifosi, che la polizia dirada con gli sfollagente, dinanzi all’hangar per far passare un furgone cellulare: dentro, rannicchiato in fondo al cassone, c’è Ferruccio Valcareggi. Con quel poco trionfale trasferimento, il C.T. rientra a casa, a due giorni soltanto dalla sconfitta patita da uno dei più forti Brasile di sempre, nella finalissima del Mondiale 1970.
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