A – torniamo nuovamente al solito luogo comune, Luciano Moggi, il mostro che ha inquinato il calcio?
G – non dico questo, ma indubbiamente ha le sue responsabilità su quello che oggi è diventato il calcio italiano.
A - mi pare che il dopo Moggi abbia mostrato la presenza di personaggi molto peggiori di lui, ammesso che lui fosse stato il male nel calcio, nonostante i difetti e i tratti antipatici del personaggio.
G – personaggi che hanno comunque appreso da lui, in qualche modo, che con lui si sono dovuti misurare, e che non avendo la sua competenza, hanno dovuto supplire con altre armi, perfidia, ipocrisia, opportunismo. Ma tutto parte dagli anni ’80, e lui è stato uno degli artefici della trasformazione del calcio nazionale.
A – spiegati.
G – dovresti sapere che fino alla legge ’91, del 1981, esisteva il cosiddetto “vincolo”, i giocatori di fatto erano di proprietà delle squadre di calcio, il vero “calciomercato” era quello vigente fino a quel periodo, trattative tra società, potere quasi nullo dei giocatori di rifiutare il trasferimento; con la legge ’91, il calciatore diventò sostanzialmente un prestatore d’opera, dunque con il potere di contrattare liberamente sia la squadra di calcio presso la quale prestare la propria attività: cosa che produce come conseguenza la regolarizzazione di una figura già esistente ma ritenuta illecita, il mediatore, che così diventa “procuratore sportivo”.
A – ma Moggi non è mai stato un procuratore sportivo, semmai un dirigente al servizio di diverse società, nel temo.
G – non è proprio così. Moggi nasce come osservatore, ha un maestro fondamentale in Italo Allodi (già general manager dell’Inter di Moratti senior, e successivamente della Juventus di inizio anni ’70), alla Juventus assume il ruolo di Direttore Sportivo; ma non dimentica la sua origine, e così, oltre a curare gli affari per la Juventus, di fatto opera in proprio come mediatore nella trattativa di compravendita di giocatori. Pensa che lo chiamavano sprezzantemente “il mediatore con gorilla”, dato che arrivava all’Hilton, ove all’epoca si teneva il calciomercato, sempre scortato da personaggi vari, aspiranti calciatori, osservatori alle sue dipendenze etc.: cosa che fece imbestialire Boniperti, che lo cacciò dalla società.
A – invero vagamente ricordo di Moggi alla Juventus all’epoca di Boniperti, primi anni ’70, e pure che fra i due si creò quell’astio che sarebbe sfociato, molti anni dopo, quando la Triade prese le redini della società, ed epurò totalmente gli uomini di fiducia di Boniperti.
G – la figura del “mediatore”, intanto era vietata dall’ordinamento sportivo, diversi furono i personaggi che subirono squalifiche per avere esercitato il ruolo di mediatore in trattative di calciomercato; ma erano personaggi che, pur pittoreschi in alcuni casi, avevano grande competenza di calcio.
A – ad esempio?
G – uno su tutti, Romeo Anconetani, radiato, poi graziato e quindi diventato proprietario del Pisa, squadra di poche risorse ma approdata in serie A, con discreti risultati; altro personaggio molto competente e scaltro, Walter Crociani. E poi Moggi con quella sua attività parallela a quella di dirigente sportivo di Juventus, Torino, Roma, Lazio, Napoli, nuovamente Torino e quindi al vertice della Juventus.
A – d’accordo, ma cosa c’entrano i mediatori e Moggi con la fase successiva? Insomma come divennero, secondo te, il vero problema del calcio italiano?
G – la prima conseguenza dello svincolo, fu che i calciatori dovettero imparare a trattare con le società in maniera diversa, e per far ciò ebbero la necessità di munirsi di professionisti che curassero i loro interessi. Naturalmente il cosiddetto “mercato”, produsse l’emergere dei “più bravi” a trattare, Caliendo, Canovi, Pasqualin, ma anche avventurieri, e naturalmente chi aveva precorso i tempi, sapeva già come trattare con loro, e dunque come crearsi la rete di procuratori amici.
A – con la conseguenza, e qui ci arrivo, che chi poteva meglio trattare con i procuratori sportivi o averne di amici, di fatto poteva alterare gli equilibri nelle trattative di calciomercato.
G – esatto. Aggiungi poi l’avvento di un personaggio come Berlusconi, abituato a trattare con professionisti, agenti di personaggi dello spettacolo, e ad avere disponibilità economica notevole, e ti rendi conto che da quel momento in avanti il calcio è cambiato.
A – vero. Boniperti era abituato a trattare di persona con i calciatori, non voleva intermediari, non si trovò certamente agevolato in un contesto di cannibali quale si era venuto a creare, e non a caso in quegli anni fece fatica a portare grandi nomi alla Juve, a meno di investire molto, come nel caso di Baggio e di Vialli.
G – ti do una chicca prima di continuare nella storia. Hai creduto davvero alla favola di Baggio arrivato alla Juve contro voglia?
A – si, al punto che non ho mai perdonato a lui il gesto della sciarpa gettata a terra in occasione della sua presentazione, e al punto di non considerarlo una stella bianconera del passato.
G – e fai male a crederci. Già a fine anni ’80 si era creato una sorta di “cartello” che monopolizzava le varie operazioni di mercato, a favore del Napoli di Moggi e del Milan di Berlusconi; riuscivano a salvarsi ancora l’Inter, ma perché aveva un grande allievo di Boniperti, dunque uno che voleva sceglierseli lui i giocatori, e che puntava soprattutto sul mercato tedesco, ove gli altri non avevano molti riferimenti, Moggi era soprattutto legato a quello sudamericano, il Milan a quello olandese; e la Sampdoria, di Mantovani, uno che aveva prima di altri investito molto su giovani emergenti, e che negli stranieri puntava o al mercato dell’est, o a quello di stranieri già in Italia, e non a caso sono state le uniche due squadre che hanno rotto l’egemonia Napoli – Milan in quegli anni.
A – non potevano allora prenderlo loro Baggio?
G – no, non c’era naturalmente spazio al Napoli, ma nemmeno al Milan; l’Inter aveva il migliore, a mio giudizio, di quegli anni, Matthaeus, mentre la Juventus aspettava l’erede di Platini. Diciamo che fecero di tutto per farlo rimanere a Firenze, e tutti temettero che con Baggio la Juventus potesse tornare nuovamente squadra leader. Ma per le ambizioni di Baggio la Fiorentina era una squadra che non poteva nel breve tempo competere con le grandi, mentre la Juventus poteva dargli modo di esplodere definitivamente. Quindi, appena saputo dell’,interessamento dei bianconeri, fu lui stesso a far sapere che era una destinazione ben accetta, nonostante ci fossero state pressioni sui Pontello per tratterlo ancora in viola. Le minacciate e in parte realizzate sommosse dei tifosi, furono, come dire, sollecitate da ambienti non viola, una campagna di stampa ben orchestrata fece il resto, comprese anche delle intimidazioni al giocatore. E così si pensò di organizzare la manfrina delle cessione forzata (a venticinque miliardi di lire, cifra stratosferica all’epoca!) contro la sua volontà. Fu solo un modo per evitargli guai, ma lui voleva andare alla Juventus, e in quel modo a caricarsi tutto addosso fu Pontello, che da lì a poco sarebbe andato via dalla società viola.
A – ma guarda un po’ …
G – vero invece che, in un mercato bloccato e condizionato, come in quegli anni, per le altre squadre era difficile aggiudicarsi pezzi pregiati, il Milan comprava ovunque anche per impedire che certi giocatori potessero rinforzare le avversarie …
A – ti riferisci, ad esempio al caso Lentini?
G – uno dei tanti. Gestito peraltro dai rossoneri proprio con Giraudo e Moggi, all’epoca con i granata: diciamo che già esisteva una sorta di patto di non aggressione e di collaborazione, la “deviazione” di Lentini al Milan, quando invece era praticamente stato ceduto da Borsano, allora presidente del club, alla Juventus. Su di lui intervenne da un lato il suo partito, era deputato PSI, e dall’altro proprio Moggi che, dal Milan, poteva ottenere di più come prezzo del cartellino. Ufficialmente il passaggio del giocatore ai rossoneri fu per una cifra stranamente inferiore rispetto a quella offerta dalla Juventus, 18 miliardi circa, contro i 20 della società bianconera, ci vollero anche pressioni verso il giocatore per fargli accettare quella destinazione, e poi si seppe di fondi in nero pagati al Torino.
A – come dire, monopolio rossonero del mercato, nessuno a poter competere, a meno di esborsi notevoli, come poi fece la Juventus per Vialli.
G – e ti rendi conto che, in situazioni del genere, vince chi controlla il mercato dei giocatori, specie se le rivali non hanno risorse, o debbono svenarsi, o peggio non trovano i canali giusti per assicurarsi i giocatori che interessano. Aggiungici inoltre il patto tra Milan e Federazione, con Sacchi che lascia i rossoneri per andare a guidare la Nazionale, e con Matarrese presidente della FIGC, futuro europarlamentare di Forza Italia, e avrai un quadro completo che ti spiegherà come mai il Milan vinceva facile in Italia in quegli anni.
A – ragione questa che produsse in casa bianconera la rivoluzione del 1994, il ritorno di Umberto Agnelli ad interessarsi delle sorti della squadra, e l’insediamento della Triade.
G – ecco, sei arrivato al momento cruciale, al salto di qualità. Con i suoi metodi e la sua competenza, Moggi aveva già fatto grandi cose altrove, ma a Napoli, dopo Maradona, non c’erano più soldi. Al Torino fecero davvero miracoli con nulla, grazie al fatto che lui sapeva come muoversi nella nuova jungla, mentre Giraudo aveva lo straordinario senso degli affari e della gestione aziendale, era sostanzialmente bravo a moltiplicare pani e pesci. Ma era un Torino praticamente moribondo, privo di risorse e non in grado di consentire una progettazione in grande. Metti dunque, alle spalle di un ottimo manager, e di un navigato conoscitore del mondo del calcio, più bravo di tutti gli altri, il marchio “Juventus” alle spalle, e capisci che non potevano, i due, che fare grandi cose alla guida del club bianconero.
A – ma se capisco bene, i suoi metodi, intendo quelli di Moggi, a te non piacciono, se poi dici che andava processato e condannato per detti metodi.
G – certo, perché da quel momento in avanti si è costituito un duopolio, e, in un certo senso, una alleanza di necessità. La Juventus in grado di contrastare lo strapotere economico sul mercato, da parte del Milan, che non riesce più di tanto a bloccare le operazioni dei bianconeri, ma entrambe intente a bloccare la concorrenza delle altre. Il vero squilibrio è stato creato in tale modo, altro che condizionamenti arbitrali, le avversarie dovevano davvero svenarsi per essere all’altezza di Milan e Juventus.
A – su questo non sono d’accordo, le concorrenti più che svenarsi, hanno dilapidato il patrimonio che avevano, l’Inter ha speso malissimo, Roma, Lazio, Fiorentina e Parma, nonostante la pioggia di denaro regalato loro dalla operazione Stream, sono riuscite addirittura a fallire, o quasi, nonostante i risultati calcistici di rilievo, scudetti, coppe etc.
G – è stata una conseguenza, dover trovare soluzioni alternative per competere. Tieni presente che dal 1997 sbarca nel nostro calcio la pay tv, ulteriore accentuazione del divario tra Juve e Milan, e le altre concorrenti.
A – ciò non toglie che l’operazione Stream fu uno scandalo: tutto parte da una svendita di una azienda di Stato, in cambio di carta straccia o quasi, e stranamente il denaro risparmiato in quella operazione, voluta da D’Alema e realizzata, guarda caso, da Guido Rossi, serve alla creazione di un nuovo polo satellitare concorrente a Tele+, polo quest’ultimo, Stream, che tramite una società appositamente creata, la SDS di Sensi, Cragnotti, Tanzi, Cecchi Gori, acquista a peso d’oro i diritti televisivi delle squadre Roma, Lazio, Parma, Fiorentina, oltre a Udinese, Sampdoria e qualche altra ancora: addirittura acquista i diritti per un triennio, e non come faceva Tele+ per ogni annata. Denaro insomma sottratto allo Stato, per essere destinato ad altri fini, uno dei quali l’uso politico del calcio.
G – bravo. Hai visto l’operazione, ma non che già in quell’operazione c’erano i germi del suicidio delle quattro squadre principali, e non a caso, Fiorentina fallita, Parma idem, Roma e Lazio salvate in maniera scandalosa.
(continua)
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